L’attacco contro tutto quanto ha un equilibrio, una forma e un ordine, dopo aver assunto nei secoli precedenti la veste del “progresso” e della “libertà”, sta assumendo negli ultimi tempi delle singolari caratteristiche: l’esaltazione della devianza, dello squilibrio e della patologia. Una nuova forma di lotta, o meglio, un nuovo stadio di uno stesso processo che da tempi lunghissimi si sta dispiegando con continuità e coerenza.
Ormai da molto tempo la corrosione di ciò che garantiva alla società di sopravvivere con equilibrio e secondo giustizia ha intaccato alle fondamenta ogni possibilità di persecuzione armoniosa del vivere civile, esaltando al tempo stesso quel travalicamento dell’ordine (hybris) che si manifesta sia come ingiustizia che come violenza e falsità. In nome della libertà si è giunti a imporre una dittatura di postulati, di declamazioni astratte, di asserzioni prive di principio e di riscontro con la realtà. Una costrizione che si è andata via via sempre più aggravandosi, a misura del suo allontanarsi dalla verità oggettiva, e che alla fine è giunta a costituirsi come realtà alternativa e autoreferenziale. Tempo di menzogna e di sogno, in cui si impone una nuova ortodossia che fa pesare su ognuno una nuova volontà (la presunta “volontà di tutti”) conducendo gradualmente a un’implicita obbedienza, a una nuova conformità, costituita dalle parole d’ordine emanate da centri decisionali tanto vaghi quanto inafferrabili. La situazione creatasi, anche se artificiale, ha mantenuto tuttavia una parvenza di ordine e, proprio grazie a questa, non è stata subito riconosciuta e respinta. Il soggetto di questi mutamenti, infatti, pur sentendo il richiamo del precedente ordine naturale, è rimasto vittima di questo labirinto di inganni, non riuscendo più a liberarsene.
Questo è accaduto negli ultimi secoli, ma allo stato attuale abbiamo un ulteriore passo in avanti, in quanto l’attacco non è più soltanto al livello della società, ma giunge ormai al livello personale, riuscendo a minacciare la stessa “frontiera individuale”, con un attacco alla persona nei principi più profondi della propria identità. La forza d’urto per una simile operazione dovrà quindi essere non solo enorme, ma anche cieca, irrazionale, scriteriata. E qui subentra la variante che caratterizza l’epoca presente: al solito e ben collaudato espediente di spacciare come progresso ogni tappa della decadenza, si aggiunge il passo successivo, utilizzare lo squilibrio e la devianza come nuove forme su cui modellare la conformità alla nuova ortodossia. In questo modo si potrà avere la certezza di infrangere definitivamente tutto ciò che resta della normalità. La malattia mentale come arma, lo squilibrato, opportunamente convinto di essere nel giusto, come avanguardia per dare l’assalto alle ultime vestigia di ordine. La degenerazione non più quindi una patologia da curare, ma un diritto da affermare, un nuovo status che vuole imporsi per stabilire i criteri del reale e del giusto, non solo della vita individuale ma anche collettiva. La corruzione passerà dal malato al sano; come per un contagio, queste idee rischieranno di estendersi coinvolgendo poi il corpo sociale nella sua interezza: un’operazione veramente eversiva che, se portata a termine, rischierà di sconvolgere in maniera definitiva ogni parvenza superstite di ordine.
Si comprenderà quindi come l’accettazione di ogni tipo di perversione, anormalità e di tutto quanto possa in qualsiasi maniera corrompere la società venga pertanto favorita e incoraggiata, finanche spinta come vero e proprio progresso, come una conquista da ottenere in qualità di diritto.
Nel passato, lo squilibrio – in quanto deleterio e destabilizzante per la società – è stato sempre tenuto a bada, confinato negli opportuni spazi o lasciato sfogare negli opportuni tempi (come le feste “carnevalesche” in cui licet insanire) affinché ciò che è anomalo e perturbante non sconfinasse nella vita di tutti i giorni (tra la chiusura dei manicomi e il declino delle feste carnevalesche ci sono più analogie di quante se ne possano notare a prima vista). L’esclusione del malato di mente dai processi decisionali o da qualsiasi ruolo di responsabilità ebbe sempre come scopo la preservazione dell’ordine, la protezione della collettività dagli squilibri che la devianza avrebbe sicuramente comportato. L’anormale, riconosciuto come tale, pur non facendo parte a pieno titolo del mondo civile – cioè del mondo politico, l’ambiente in cui si prendono le decisioni per la vita della comunità – ha comunque la possibilità di curarsi, nelle forme che la medicina o la terapeutica sacra hanno sempre messo a disposizione. Allo stato attuale invece, non solo il malato non viene più curato, con suo danno personale, ma diffonde nella società il suo disagio, pretendendo l’accettazione della malattia come nuovo diritto, normalità cui tutti debbono adeguarsi, mettendo così in difficoltà i sani, che non solo subiscono l’arbitrio, ma rischiano anche di essere perseguitati nel caso in cui non riconoscessero la malattia come tale.
Tutto questo non è casuale ma risponde a ben precise logiche, quelle stesse che hanno stabilito il nuovo regime che ha caratterizzato gli ultimi due secoli e che ancora proseguono nella loro influenza. Fare credere a qualcuno di essere ciò che non è, illudere, assecondare. Così si otterrà un duplice effetto: da un lato gli illusi crederanno di essere dalla parte della ragione, non dei malati ma dei sani cui sono negati i loro diritti; dall’altro, come diretta conseguenza, ci sarà un impegno totale per la nuova causa, una determinazione così forte da diventare zelo religioso. Non ci sarà nemmeno la necessità di ulteriori motivazioni o persuasioni: la persona, una volta convinta di essere nel giusto, agirà ormai quasi per inerzia, agendo sia per motivazioni personali (rimediare al “torto subito”) che generali (la “battaglia di civiltà”). Lo squilibrio, unito al risentimento e all’illusione di essere stato vittima di un’ingiustizia, costituiranno per lui una miscela in grado di spingerlo con cieca determinazione ad accollarsi ogni tipo di onere, ogni tipo di obbligo. Si convinca un disagiato, un deviato di essere nel giusto e questo combatterà fanaticamente senza nulla chiedere in cambio. Vero soldato politico della degenerazione agirà, senza nemmeno rendersene conto, per diffondere lo squilibrio, operando una vera e propria contaminazione (il greco miasma, che è prima di tutto contaminazione dell’anima) che in maniera più o meno grave coinvolgerà tutti i membri del consorzio civile.
Renzo Giorgetti
Tale è questa nuova e potente arma, elaborata con grande lucidità e poi gettata tra le masse, come una bomba, per produrre più danni possibile in un mondo già agonizzante. In questa drammatica attualità, rimpicciolita da idee degradanti e squallide, illusa da inganni meschini, l’umanità sembra avere perso anche le ultime scintille di ragionevolezza, giungendo fino a livelli impensabili di degrado, non riuscendo più nemmeno a riconoscere le forme più elementari del vero e del falso. Ma la natura, riflesso materiale di un ordine cosmico più elevato, alla fine impone sempre le sue leggi, che anche se ignorate esistono e che nessuna convenzione umana sarà mai in grado di vincere, perché solo ciò che è conforme a una norma è in grado di fare proseguire la vita, tutto il resto non essendo altro che ostacolo, inutile e artificiale creazione, aberrazione che a nulla porta, in ultima analisi soltanto scoria da spazzare via.
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