Avendo analizzato nei mesi scorsi [cfr. Culti cosmico-agrari dell’antica Eurasia] una serie di riti, miti e deità connessi alla tematica della rinascita cosmica, vogliamo in questo appuntamento e nei prossimi concentrare la nostra attenzione su alcuni simboli, cui abbiamo già accennato, che l’uomo arcaico riconobbe come immagini in grado di elevarlo escatologicamente verso la comprensione di tale mistero. Si tratta più precisamente, come avremo modo di vedere, di simboli spiraliformi (in particolare a doppia spirale) e di immagini legate al simbolismo delle fasi lunari (corna), in quanto fin dall’antichità più remota l’intelletto umano sperimentò la propria posizione all’interno di un ordine cosmico (Cosmos) in primo luogo mediante l’osservazione delle stelle e soprattutto dell’astro selenico, che con la sua danza perenne attraverso le quattro fasi, come ben comprese Carl Hentze, fornì all’uomo arcaico un modello di meditazione sul mistero dell’annientamento e della rinascita continua del cosmo. In questo senso Mircea Eliade poté affermare che: « Con ogni nuova scoperta fondamentale l’uomo non si limita ad ampliare la sfera delle sue conoscenze empiriche e a rinnovare i suoi mezzi di sostentamento; egli scopre altresì un nuovo livello cosmico, sperimenta un altro ordine di realtà. » Un vastissimo apparato fotografico ed iconografico di tali rappresentazioni a spirale e a doppia elica nelle culture antiche (e non solo) di tutto il planisfero si può rinvenire nel monumentale tomo Le chiavi magiche dell’universo di Filippo Manna (Liguori, Napoli, 1988), opera purtroppo fuori catalogo e di non facile reperibilità che ha il merito incontrastato di mettere in relazione le intuizioni artistiche dell’uomo arcaico con un’infinità di nozioni di tipo non solo simbolico e antropologico, ma finanche scientifico (matematica, biologia, meccanica, ottica, astrofisica, etc.) e architettonico. Durante la consultazione di questo opus magnum più unico che raro, il lettore avrà l’occasione di essere condotto—come si può leggere nella presentazione in quarta di copertina—«in un rapido excursus a contemplare le più colorite immagini del Macro e del Microcosmo: della smisurata Galassia ad esempio, e rispettivamente del DNA, la portentosa scala svergolata della vita che a sua volta viaggia verso la stessa Galassia per incontrarvi una consorella che forse l’attende…». Roccia megalitica incisa con motivi spiraliformi. Newgrange, Irlanda, c.ca 3200 a.C. La spirale nell’arte preistorica: l’«Utero Cosmico» Migliaia di spirali risalenti almeno al Neolitico sono disseminate, scolpite nella roccia, praticamente nel mondo intero: in tutta Europa, in Russia e Siberia, in Cina, in Australia nonché presso la grande maggioranza delle culture indigene e cosiddette ‘primitive’. Tra le più note vi sono le celeberrime spirali di Newgrange, Irlanda, risalenti a 5000 anni fa, e per quanto riguarda il territorio italiano vengono subito alla mente quelle del complesso neolitico della Val Camonica. Nelle culture neolitiche, come rileva Mircea Eliade in Trattato di storia delle religioni [“La luna e la mistica lunare“, p. 141] «la spirale è una ierofania selenica, ossia il ciclo luce-oscurità, ed è insieme un segno mediante il quale l’uomo può assimilarsi le virtù dell’astro» (umidità, fecondità, fertilità, rigenerazione). L’immagine della spirale in connessione con il simbolismo selenico e acquatico (serpenti, saette, conchiglie, lumache, maree, etc.) rivelò all’uomo arcaico la vita che si ripete ritmicamente, periodicamente. Citando lo storico delle religioni rumeno, possiamo convenire che [p. 142; p. 147; p. 168]: « L’uomo si è riconosciuto nella “vita” della Luna non soltanto perché la propria vita ha fine, come quella di tutti gli organismi, ma soprattutto perché la “Luna nuova” rende valide, con la sua sete di rigenerazione, le sue speranze di “rinascita”. » […] «Il destino metafisico della Luna è di vivere pur rimanendo immortale, di conoscere la morte in quanto riposo e rigenerazione, mai come fine. Questo è il destino con cui l’uomo cerca di rendersi solidale mediante tutti i riti, i simboli, i miti. » […] « Si potrebbe dire che la Luna rivela all’uomo la propria condizione umana; che, in un certo senso, l’uomo guarda se stesso si ritrova nella vita della Luna. » In quanto connessa all’astro selenico, la spirale stava a rappresentare più propriamente [p. 147] «una verità ultima, fonte di forza e di vita, dalla quale sono uscite […] tutte le forme viventi»: la credenza nella Luna come paese dei morti, o più correttamente «ricettacolo rigeneratore delle anime» [p. 156]. La spirale, in altri termini, era considerata la rappresentazione simbolica della «Fonte Primigenia» dell’universo, adorata sotto forma di Dea Madre, dal cui «Utero Cosmico» tutte le anime provengono per poi ritornare. Devesi infatti notare come nel simbolo della doppia spirale si possa individuare tanto l’idea del processo nascere-divenire-morire quanto quella della reversibilità di questo processo. Ciò contribuirebbe a spiegare la ragione per cui tali motivi simbolici abbiano fatto la loro apparizione in forma di graffiti nei grandi blocchi di pietra che, nella preistoria, fungevano da sepolcri. La spirale è stata anticamente collegata anche alla crescita e alla fertilità connesse all’energia solare: non di rado, nelle più antiche costruzioni e grotte cerimoniali, motivi spiraliformi erano disposti sulle pareti in modo da essere illuminati dalla luce dell’astro eliaco durante il giorno del solstizio d’estate [Biedermann, Enciclopedia dei simboli, pp. 509-511]. Fin dai tempi più remoti, il simbolismo della spirale fu utilizzato dunque anche per rappresentare la forza espansiva dell’energia cosmica contenuta negli astri (e soprattutto nella Luna e nel Sole, datori di vita) e più in generale negli abissi del cosmo, ‘forza’ che rende possibile il ciclo delle stagioni e l’abbondanza del raccolto. Anche per questo motivo le popolazioni più antiche d’Europa adoperavano immagini ‘doppie’ e ‘spiraliformi’ (sotto forma di vortici, serpenti, lune crescenti—e il più delle volte connesse con il simbolismo acquatico) per veicolare concetti di abbondanza, fecondità e potenza [Eliade, Enciclopedia dei simboli, p. 226]. Hunab Ku, la «Farfalla Galattica», rappresentazione Maya della Via Lattea. La doppia spirale e la Via Lattea Le tradizioni di alcune tra le più antiche civiltà conosciute condividono la credenza riguardo al fatto che le anime degli uomini dimorino, tra una reincarnazione e l’altra, al centro della Via Lattea. Questa idea era diffusa non solo nell’Europa neolitica, ma anche e soprattutto nelle Americhe, ad es. tra gli indios dell’Honduras e del Nicaragua, e in un gran numero di tradizioni del Nord America, quali ad es. quelle dei Pawnee e dei Cherokee [cfr. Santillana-Dechend, Il mulino di Amleto, pp. 287-288]. La Via Lattea, in tutte queste culture, appare indissolubilmente connessa al simbolismo della doppia spirale e al passaggio da «Questo Mondo» all’«Altro Mondo». Secondo i nativi del Nord America, la «Spirale della Vita» è una rappresentazione della «Loggia dei Sogni» (con tutta probabilità una denominazione della Via Lattea), il posto da cui secondo le tradizioni proviene tutta la conoscenza di quei popoli. Per i Maya Hunab Ku, la «Farfalla Galattica», e la deità originaria al di sopra di tutti gli altri e contemporaneamente il centro della Via Lattea: rappresentato come una doppia spirale, stava a significare l’equilibrio delle forze opposte, la coscienza universale, ma anche la porta per accedere ad altre dimensioni parallele. Ci sembra a questo punto doveroso notare, prima di passare ad un altro simbolo spiraliforme—e catapultandoci per un momento ai giorni nostri—come grazie agli strumenti scientifici più progrediti si è ora potuto osservare come la Via Lattea sia formata da diverse ramificazioni a spirale di tipo logaritmico, con un’inclinazione di 12 gradi. Una spirale viene chiamata «logaritmica» o «di crescita» quando, muovendo da un centro verso l’esterno, le sue sezioni si ingrandiscono in modo esponenziale, secondo quella proporzione geometrica continua, ovunque presente in natura (ad es. in galassie, turbini, mulinelli d’acqua, girasoli, piante grasse, conchiglie, pigne, etc.) che Platone considerava «il legame cosmico più profondo» e «l’unica risonanza su cui si fonda il mondo». Tale ‘proporzione divina’, altresì denominata «Sezione Aurea», venne codificata nella famosa «Successione di Fibonacci» (dal suo scopritore, il matematico Leonardo Pisano; 1175 c.ca – 1235), la quale si sviluppa in modo tale che ogni numero della sequenza equivalga alla somma dei due che lo precedono. « L’intero mondo è un vivente che danza secondo una legge musicale. » (Plotino) Animazione di un Nautilus in cui viene mostrata la sua evoluzione mediante la cd. «Sezione Aurea» o «Successione di Fibonacci». Il simbolismo della conchiglia Un altro emblema funerario archetipicamente connesso alla spirale (e alla «Sezione Aurea») è la conchiglia. Lo storico delle religioni rumeno Mircea Eliade, nel suo saggio Osservazioni sul simbolismo delle conchiglie [contenuto in Immagini e simboli, Jaca Book, Milano, 2015] evidenzia gli stretti rapporti esistenti tra essa, la spirale, la luna, il lampo, le acque, la fecondità, la nascita e la vita oltre la morte. Innanzitutto vi è da riportare il dato che si riferisce ai tempi più remoti, vale a dire le «quantità considerevoli» di «conchiglie, gusci di molluschi, perle naturali o artificiali […] nelle stazioni preistoriche, il più delle volte all’interno di tombe» [p. 123]; nelle tombe dell’Egitto pre-faraonico, a Creta e a Phæstos [p. 124]; nella necropoli di Kouban, nel Caucaso settentrionale (XIV sec. a.C.) e nelle tombe scite nei dintorni di Kiev, Ucraina [p. 125]. La conchiglia, la luna, la crescita Accantonando momentaneamente la funzione rituale della conchiglia in ambito funerario, su cui torneremo in seguito, passiamo ora a considerare la connessione che si ritrova pressoché in tutto il mondo tra la conchiglia e il simbolismo selenico-femminile. Nell’antica Cina, scrive Eliade [p. 114]: « […] le conchiglie partecipano alla sacralità della luna e al tempo stesso sono il prolungamento delle potenze acquatiche. » In un trattato del III sec. a.C. si può leggere: «La luna è la radice di tutto ciò che è yin; con la luna piena le ostriche pang e ko sono piene e tutte le cose yin diventano abbondanti; quando la luna si oscura (ultima notte del ciclo lunare) le ostriche sono vuote e tutte le cose yin si mettono a mancare». Un altro trattato cinese della stessa epoca attribuisce gli stessi fenomeni di crescita e decrescita periodica influenzata dal ciclo lunare alle «conchiglie bivalve, i granchi, le perle e le tartarughe» [p. 115]. Lo yin, com’è risaputo, rappresenta nell’antica sapienza cinese il principio cosmico femminile, l’energia lunare e umida. Queste proprietà peculiari dei molluschi e dei crostacei era nota anche agli autori romani: Lucilio affermava che «la luna nutre le ostriche, riempie i ricci di mare, dà forza e vigore alle cozze» e svariati altri autori (tra cui Plinio in Hist. Nat. e Aulio Gellio) pretendevano di aver notato fenomeni simili. Le conchiglie per la loro somiglianza con la vulva (l’antico nome danese per l’ostrica è kudefisk, da kude=”vulva”) vennero anche considerate propizie alla fecondità e alla facilitazione del parto in quanto, come parafrasa Eliade [p. 116]: « […] partecipano ai poteri magici della matrice [dell’«Utero Cosmico», ndr]. Sono presenti e si esercitano in esse le forze creatrici che sgorgano, come da una fonte inesauribile, dal qualsiasi emblema del principio femminile. » Portate come amuleti sulla pelle, allontanano le «forze nocive» e la «mala sorte». Nella moderna terapeutica indù dell’India meridionale, la polvere di perla viene usata per le sue qualità ricostituenti e afrodisiache: «un’applicazione “scientifica”, sul piano concreto, immediato, di un simbolismo che ormai viene colto solo a metà»—per dirla con le parole di Eliade [p. 117]. Queste credenze sono diffuse anche nell’Estremo Oriente. In Cina, la medicina tradizionale considera la perla un rimedio eccezionale in ragione delle sue virtù fertiizzanti e ginecologiche: alcuni autori hanno rilevato la somiglianza tra la perla che si sviluppa nell’ostrica e il feto che cresce nel grembo della genitrice. Ugualmente, in Giappone, si ritiene che le cozze aiutino il parto. Sandro Botticelli, “La nascita di Venere”, c.ca 1485. La conchiglia, Afrodite e la «risurrezione» Mircea Eliade continua la sua esplorazione comparata delle culture antiche giungendo nell’antica Grecia, dove «fin dai tempi pre-ellenici […] le conchiglie sono state in stretto rapporto con le Grandi Dee»; emblemi dell’amore e del matrimonio, considerate sacre ad Afrodite che pure nacque da una conchiglia emergendo dalla schiuma del mare [p. 118]. Epperò anche nelle grandi civiltà classiche del Mediterraneo, così come avveniva per le culture cd. «preistoriche», le conchiglie trovano posto anche nei riti funerari, in quanto connesse al simbolismo della rigenerazione. Osserva lo storico delle religioni rumeno, ispirato dagli studi di W. Déonna: « Le conchiglie che in svariati monumenti romani simboleggiano la risurrezione passeranno nell’arte cristiana. Spesso, del resto, la morte viene identificata con Venere: sul sarcofago essa viene rappresentata con il busto nudo e con ai suoi piedi la colomba; grazie a questa identificazione all’archetipo della vita in perpetuo rinnovamento, la morte si garantisce la risurrezione. » A tal proposito, Eliade estende il discorso della conchiglia come simbolo di rinascita ad alcuni rituali e cerimonie di iniziazione che prevedono una «morte e risurrezione simboliche» dell’iniziando, e che prevedono l’utilizzo di «conchiglie sacre». Presso certe tribù Algonchine, ad es., il rito «consiste nel colpire il neofita con una conchiglia nel corso della cerimonia d’iniziazione e di mostrargliene una mentre gli venivano raccontati i miti cosmologici e le tradizioni della tribù». Presso la «Società Grande-Medicina» degli Ojibwa e durante i «riti di medicina» dei Winnebago «la morte e le risurrezioni rituali del candidato sono ottenute toccandolo con conchiglie magiche conservate in borselli di pelle di lontra» [p. 120]. In Trattato di storia delle religioni, lo storico delle religioni rumeno sostiene che è «facile capire la parte rappresentata dalla Luna [e quindi, per la legge delle corrispondenze, dalla conchiglia, ndr] nelle cerimonie di iniziazione, che consistono precisamente nello sperimentare una morte rituale seguita da una “rinascita”, e con le quali l’iniziato reintegra la sua vera personalità di “uomo nuovo”» [p. 159]. La conchiglia, la misura e la norma, la «Tessitura» Rimane solo da menzionare l’utilizzo delle conchiglie anche nell’ambito dell’amministrazione della giustizia, giustificato dalle peculiari «virtù magico religiose»: sia nelle società «primitive» che in altre più avanzate (ad es. nell’antica Cina), osserva Eliade [Osservazioni, p. 121]: « […] l’emblema che incarna uno dei principi cosmici garantisce la giusta applicazione della legge: in quanto simbolo della Vita cosmica, la conchiglia ha il potere di scoprire qualsiasi infrazione alla norma, qualsiasi crimine contrario ai ritmi e, implicitamente, all’ordine della società. » Questa analogia tra la conchiglia (in quanto spiraliforme) e la misura, la norma, i ritmi della vita (e quindi, di conseguenza, anche della società umana) ricade ancora una volta all’interno del simbolismo selenico: la Luna infatti nelle tradizioni antiche è sempre stata considerata—come abbiamo visto in apertura di articolo—la «Misuratrice» per eccellenza dei ritmi del creato, funzione archetipica che non di rado si fonde con quella della «Tessitura», com’è confermato da quella lunghissima lista di «Dee Tessitrici» (Ananke, Parche, Moire, Norne, etc.) e personaggi mitici al femminile (Arianna, Aracne, etc.) che contiamo di analizzare in uno studio di prossima pubblicazione. Bibliografia: Hans Biedermann, Enciclopedia dei simboli, pp. 509-511 (Garzanti, Milano, 1999). Mircea Eliade, Enciclopedia dei simboli (Jaca Book, Milano, 1997). Mircea Eliade, Osservazioni sul simbolismo delle conchiglie, in Immagini e Simboli, pp. 113 – 134 (Jaca Book, Milano, 2015). Filippo Manna, Le chiavi magiche dell’universo (Liguori, Napoli, 1988). Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend, Il mulino di Amleto (Adelphi, Milano, 2006). - Artículo*: Marco Maculotti - Más info en psico@mijasnatural.com / 607725547 MENADEL Psicología Clínica y Transpersonal Tradicional (Pneumatología) en Mijas y Fuengirola, MIJAS NATURAL *No suscribimos necesariamente las opiniones o artículos aquí enlazados
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