La teoria delle corrispondenze di Baudelaire, nella sua formulazione, deve molto più a Maistre che a Swedenborg. Quando Baudelaire vede il mondo come «una foresta di simboli», ci introduce al metodo maistriano di mettere in relazione il visibile con l’invisibile.
Articolo originariamente pubblicato in francese su MauvaiseNouvelle.fr
Traduzione di Marco Maculotti.
Gli esegeti e i biografi moderni cedono eccessivamente al sospetto, alla svalutazione e persino all’acrimonia nei confronti delle opere di cui si occupano, facendone il loro cavallo di battaglia e lo sfogo del loro risentimento nel vedersi confinati in un ruolo secondario. Mentre il commento tradizionale si basa su un principio di riverenza e fedeltà che lo spinge, attraverso la sua interpretazione, a proseguire sulla strada aperta dall’opera che distingue e a cui si dedica, il commentatore moderno trova generalmente più “gratificante” sospettare dell’autore e trovare la pagliuzza nell’occhio dell’opera ignorando di essere da essa contemplata tanto quanto egli la esamina. Il più delle volte, l’esegeta sospettoso dipinge il proprio ritratto, con la propria trave.
Quando Sartre suggerisce che la lettura di Maistre da parte di Baudelaire è sommaria, che obbedisce a ragioni subalterne e superficiali, ci parla della sua stessa lettura di Joseph de Maistre, e allo stesso tempo ci dà il suo autoritratto: «un pensatore austero e in malafede». Joseph de Maistre può essere criticato per tutto, tranne ovviamente per essere un pensatore “austero”. Se c’è un’opera che ha resistito al puritanesimo in tutte le sue forme, è quella di Joseph de Maistre: la diffidenza che i moderni provano nei suoi confronti non si spiega in altro modo. Stretti seguaci della virtù e del terrore, di una morale priva di qualsiasi prospettiva metafisica o soprannaturale, avversari degli esteti e dei dandy (i custodi ultimi della concordanza tra il Vero e il Bello), i moderni hanno fatto dell’austerità e della malafede le loro armi teoriche e pratiche per sterminare tutte le vestigia teologiche, ovunque si trovassero.
L’influenza di Joseph de Maistre su Baudelaire è una delle più profonde che un pensatore abbia mai esercitato su un poeta, anche se non bisogna dimenticare che Maistre, in Les Soirées de Saint-Pétersbourg (“Le serate di San Pietroburgo” o “Colloqui sul governo temporale della Provvidenza”), è un poeta in modo continuativo, così come Baudelaire, nelle sue opere poetiche e critiche, nei suoi aforismi e nelle note di Mon cœur mis à nu (“Il mio cuore messo a nudo”) non ha mai smesso di essere un astuto metafisico. Baudelaire si riconosce in Maistre in quanto gli deve i principali principi estetici e filosofici del suo metodo. Baudelaire sarebbe stato indubbiamente un maistriano senza nemmeno dover leggere Joseph de Maistre, tanto il suo gusto e le sue misteriose e provvidenziali affinità erano in sintonia con le preferenze di Joseph de Maistre. Ma, nel senso in cui Valéry parla del metodo di Leonardo da Vinci, esiste un metodo baudelairiano, e deve tutto a Joseph de Maistre.
La teoria delle corrispondenze di Baudelaire, nella sua formulazione, deve molto più a Maistre che a Swedenborg. Quando Baudelaire vede il mondo come «una foresta di simboli», ci introduce al metodo maistriano di mettere in relazione il visibile con l’invisibile:
Nessuno può negare le relazioni reciproche del mondo visibile e di quello invisibile.
Ricordiamo ancora una volta che la parola Diavolo deriva da diaballein, che significa disunire, mentre la parola Simbolo, dalla stessa radice, deriva dal verbo sumballein, che significa unire o riunire. Non c’è frase in tutta l’opera di Baudelaire che non risponda alla meditazione maistriana sul Male e sulle opere della Divina Provvidenza. Il paradosso essenziale dell’opera di Baudelaire e della risposta umana ad essa deriva da una costante meditazione sulle Soirées de Saint-Pétersbourg. Il Male esiste, ma è solo la disunione del Bene; il Diavolo è il principe di questo mondo, ma è solo una parte del Simbolo che unisce e salva. I Fiori del Male non sono una sorta di satanismo a buon mercato, in stile Halloween (il Male è veramente nella derisione del buon mercato), ma una prova retroattiva del sumballein. Il Bene non si oppone al Male; è il Male che, quando il Bene trionfa, torna all’interno del Bene, per scomparire. Scrive Raymond Abellio:
L’abisso del giorno contiene l’abisso della notte, ma l’abisso della notte non contiene l’abisso del giorno. Resta il fatto che in noi coesistono due forze, o più precisamente due postulazioni: «Ci sono in ogni uomo, a ogni ora, due postulazioni, una verso Dio, l’altra verso Satana». Non meno maistriana è questa considerazione corollaria: «Osserviamo che coloro che aboliscono la pena di morte devono essere più o meno interessati ad abolirla. Spesso sono ghigliottinatori. La cosa si può riassumere così: voglio poterti tagliare la testa; ma tu non toccherai la mia. Coloro che aboliscono l’anima (materialisti) sono necessariamente coloro che aboliscono l’inferno; sono certamente interessati ad esso; come minimo, sono persone che hanno paura di vivere di nuovo — persone pigre.
Sartre ignora l’influenza di Maistre su Baudelaire tanto per ignoranza dell’opera di Maistre quanto per incomprensione dell’opera di Baudelaire. Si concede quindi la libertà di giudicare l’opera di Maistre in malafede e di considerare l’opera di Baudelaire con quell’austerità puritana che è la caratteristica degli intellettuali per antifrasi, cioè degli “intellettuali” la cui unica ragion d’essere è combattere l’Intelletto come prospettiva teologica e metafisica. Baudelaire si riferisce a Maistre come all’autore che ha esercitato su di lui l’influenza decisiva, in termini di pensiero e di stile: questo basta all’acredine di Sartre per giudicare Baudelaire un bugiardo. È vero che il poeta ha il diritto inalienabile di allontanarsi dalle verità relative del “realismo” e di andare alla ricerca di una verità più profonda, più essenziale, che apparirà prima, nella sua emanazione, sotto le sembianze di nuvole e misteri, ma non appena consideriamo l’opera poetica e critica di Baudelaire come un pensiero, cioè come una “giusta pesatura”, un’arte analogica in cui prosodia e metafisica sono ordinate a una teoria e a un metodo di rapporti e proporzioni, il nome di Maistre e il riferimento alle Soirées de Saint-Pétersbourg appaiono come una chiave.
Charles Baudelaire (1821 – 1867)Baudelaire credeva così fortemente e così giustamente nell’attualità e nella verità del suo pensiero che, lungi dal cercare di apparire originale nascondendo le sue influenze e i suoi incontri, non smise mai di cercare di sostenere il suo lavoro con altre opere più antiche o contemporanee. Ciò che si dice sembra a questo dandy più importante di chi lo dice — il che getta un po’ di luce sull’impersonalità attiva del dandismo baudelaireano, che è molto diverso dal moderno “culto dell’io” — e in questo senso è ancora più diverso da Sartre che, sotto il titolo di L’Etre et le Néant (“L’Essere e il Nulla”), si abbandona a variazioni più o meno persuasive, se non convincenti, senza riferirsi in larga misura all’autore di Sein und Zeit.
Baudelaire inserisce Maistre nella sua opera come un punto di riferimento, al quale il lettore è chiamato a fare riferimento per comprendere ciò che sta per leggere, così come Schopenhauer apre Il mondo come volontà e rappresentazione con un riferimento a Kant. Le tempistiche umane sono brevi; quando certi principi sono stati perfettamente enunciati, quando un metodo si erge e dimostra la sua efficacia, è consigliabile tagliare corto e affrontarlo subito. La distinzione tra l’esegeta moderno e l’esegeta tradizionale che abbiamo delineato sopra si accompagna alla distinzione tra due tipi di autori. I primi non smettono mai di deplorare il fatto che altri prima di loro abbiano già percorso la loro strada, mentre i secondi si rallegrano: sono tra coloro che andranno oltre. I primi sono gelosi e sarebbero pronti a riformulare tutto a modo loro; i secondi, che in genere coltivano il gusto antico e aristocratico dell’otium, vorrebbero trovare l’opera a cui stanno pensando già scritta da qualcun altro. Gli altri pensano, come dicono gli indù, come gli kshatrya: si onorano di servire un Vero, un Bene e un Bello impersonali. Joseph de Maistre ha scritto:
Joseph de Maistre (1753 – 1821)Ogni credenza che sia costantemente universale è vera, e ogni volta che, separando da una credenza alcuni articoli peculiari di nazioni diverse, rimane qualcosa di comune, ciò che rimane è una verità.
La Sophia perennis o, più precisamente, quella che René Guénon chiamerebbe la Tradizione primordiale, è la chiave di volta che unisce l’opera di Baudelaire a quella di Maistre. La verità metafisica o soprannaturale è universale per definizione. Ecco perché per Maistre, come per Baudelaire, le differenze tra i popoli sono meno importanti delle differenze di casta, che sono di natura completamente diversa dalle differenze di classe. Scriveva Baudelaire:
Ci sono solo tre esseri rispettabili: il sacerdote, il guerriero e il poeta. Conoscere, uccidere e creare. Gli altri uomini sono taillables et corvéables, fatti per la stalla, cioè per esercitare quelle che chiamiamo professioni.
In questo modo, Baudelaire prolunga Maistre e risponde in anticipo a Sartre, che si azzarda a scrivere:
E proprio nella misura in cui Baudelaire vuole essere qualcosa in mezzo al mondo di Maistre, sogna di esistere nella gerarchia morale con una funzione e un valore, proprio come la valigia di lusso o l’acqua addomesticata nelle caraffe esistono nella gerarchia degli utensili.
Da qui l’esigenza profetica di Baudelaire di precisare:
Charles Baudelaire (1821 – 1867)Essere un uomo utile mi è sempre sembrato qualcosa di abbastanza odioso.
Va notato di sfuggita che Sartre, pur attribuendo un significato del tutto diverso alla metafora, richiama involontariamente la distinzione tra esoterismo ed exoterismo, «l’acqua e l’anfora» di cui parlano i poeti sufi. Se Baudelaire vuole essere l’acqua, senza dubbio Sartre preferirebbe essere la caraffa! Baudelaire è maistriano proprio perché sceglie di sottrarsi eroicamente a ogni strumentalizzazione, a ogni utilità, a ogni funzione che lo predispone a riconoscere, al di là di ogni decantazione, la suprema trasparenza della verità metafisica:
Le uniche cose interessanti sulla terra sono le religioni. […] C’è una religione universale, fatta per gli alchimisti del pensiero, una religione che emerge dall’uomo considerato come un ricordo divino.
Sartre sbaglia completamente quando scrive, non senza una punta di meschinità, che «l’influenza di Maistre su Baudelaire è soprattutto di facciata; il nostro autore ha trovato ‘distinto’ rivendicarla come propria», ma questo errore, come tutti gli errori, non è privo di significato: dimostra che per Sartre è la caraffa a dare significato all’acqua, non l’acqua a dare significato alla caraffa. Tutta la sovversione di Sartre, e la sovversione moderna, si può ridurre a questa inversione, che è anche il segno distintivo di tutti i fondamentalismi, che hanno un nome sbagliato perché esaltano l’accessorio, l’utensile, a scapito del significato e della sua universalità metafisica. L’utilitarismo svilisce l’uomo, da qui la necessità, per Baudelaire, di formulare una teoria dell’uomo superiore. Nella religione, come nella politica, l’utilitarismo riduce tutto alla contrattazione, al commercio che divide l’essere e l’apparire. Scriveva Baudelaire:
Il commercio è satanico nella sua essenza. Il commercio è il prestito restituito, è il prestito con il sottinteso: restituiscimi più di quanto ti do.
Precipitato nel pantano della Francia borghese, Baudelaire deve aver trovato nelle conversazioni del Senatore, del Conte e del Cavaliere un rifugio felice e una sorta di testimonianza di quell’intellettualità musicale di cui cercava, attraverso le sue fedeltà a Racine, di interpretare le discordanze e le nostalgie nell’anima abbandonata nelle squallide nefandezze delle classi medie. Baudelaire aveva previsto quella che Hannah Arendt avrebbe chiamato la banalità del male. Al culmine delle sue istanze maistriane voleva scagliare la modernità letteraria contro il mondo moderno, così come ironicamente implorava Satana di avere pietà della sua lunga miseria. Quando Maistre, in Les Soirées de Saint-Pétersbourg, fa dire al Conte «Il peccato originale, che spiega tutto e senza il quale non si può spiegare nulla, si ripete purtroppo in ogni momento, anche se in modo secondario», Baudelaire interviene chiarendo la sua teoria della vera civiltà: «Non sta nel gas, né nel vapore, né nei giradischi, sta nella diminuzione delle tracce del peccato originale».
Dal punto di vista della Storia, Baudelaire è il punto in cui i discorsi sono tramontati. I tempi sono maturi per il progressismo, la «dottrina dei pigri», il che significa, per Baudelaire, che è giunto il momento di rompere con ogni forma di collettivismo e di gregarismo. Il paradosso è solo apparente. Esiste, infatti, un mondo al di là e al di sopra dell’individuo, e il mondo a cui ci dedica la «dottrina dell’ozio» è un mondo che distrugge nel suo stesso nucleo qualsiasi trascendenza dell’individuo. Il minimo che possiamo fare è essere stati ciò che siamo destinati a essere. Baudelaire, in cui tendiamo a vedere il modello dell’asociale, rimane fedele all’idea maistriana di società come civiltà, «custode fedele e perpetua del sacro deposito delle verità fondamentali dell’ordine sociale, la società, considerata in generale, le comunica a tutti i suoi figli quando entrano nella grande famiglia, rivela loro il segreto attraverso il linguaggio che insegna loro».
Constatando la scomparsa del deposito sacro e della lingua, disprezzata, triturata e saccheggiata, Baudelaire non cede all’illusione della forma vuota: la caraffa vuota non lo disseta, la parodia dell’ordine che la borghesia impone con estremo rigore non gli sembra affatto amabile, in una parola, deciso a «tuffarsi nell’ignoto per trovare qualcosa di nuovo». Lontano dalla facciata dei reazionari borghesi maistriani, Baudelaire inventa la prassi della teoria che Maistre formula così: «il ristabilimento della monarchia, che chiamiamo controrivoluzione, non sarà una rivoluzione contraria ma il contrario di una rivoluzione».
Laddove la rivoluzione mobilita, pianifica e strumentalizza, Baudelaire si fa carico di smobilitare, di aumentare il senso di singolarità e di celebrare l’inutile. Un’applicazione rigorosa del metodo che aveva trovato in Maistre, il suo dandismo, così incompreso, tronca ogni desiderio di azione collettiva, di appelli al Popolo, di mobilitazione di truppe, di referendum o di elezioni:
Cosa penso del voto e del diritto di essere eletto? Dei diritti umani? Cosa c’è di ignobile in una carica? Un Dandy non fa nulla. Riuscite a immaginare un Dandy che parla al popolo, se non per disprezzarlo?
Il dandismo di Baudelaire, il suo carattere sconosciuto e innovativo, consiste nel rimanere dove siamo, ostinatamente. Questa non è una cattiva strategia, tra l’altro; ci risparmia battaglie in cui saremmo stati inevitabilmente sconfitti. Per Baudelaire, il dandy non è l’effeminato egoista, ma il custode del sacro deposito, il testimone dell’Idea:
Charles Baudelaire (1821 – 1867)Essere un grande uomo e un santo per se stessi. Questa è l’unica cosa importante.
Il dandy è il testimone di se stesso, il che basta a dire che per Baudelaire non è solo un Io imprigionato nell’immanenza, ma il sottile diplomatico dell’Idea:
Ogni idea è, di per sé, dotata di una vita immortale, come una persona. Ogni forma creata, anche dall’uomo, è immortale. Perché la forma è indipendente dalla materia.
Mentre la Rivoluzione e la Controrivoluzione precipitano il “fare” e il “disfare” nell’inane e nel volgare, il «contrario di una Rivoluzione» mantiene l’essere, durante l’interregno, nella pienezza delle sue possibilità. Baudelaire, pensatore dell’estremo, porta la premessa maistriana alla sua logica conclusione, applicandola rigorosamente, persistendo in un modo di essere che è anche un modo di dire. La lucidità di Baudelaire libera il suo pessimismo dalla tentazione di peccare contro la speranza. La lezione maistriana tiene Baudelaire in guardia: «Sfidiamo il popolo, il buon senso, il cuore, l’ispirazione e l’ovvio».
Tutto il romanticismo rivoluzionario e controrivoluzionario, così ingombrante e cacofonico, viene così sventato in una sola frase. L’importante è salvaguardare la musica e lo spazio. Come scrive Baudelaire: «La musica dà l’idea dello spazio. Tutte le arti, più o meno; poiché sono numero e il numero è una traduzione dello spazio». La poesia lo ribadisce: «La musica scava il cielo».
L’immobilità del poeta preserva la spaziosità e l’unità.
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