
Per oltre 50 anni, Jünger e Hofmann furono legati da una profonda amicizia che, nelle loro lettere, assume i connotati di un legame spirituale dettato dal fato. Ripercorriamo le tappe del loro cammino, che li portò a condividere viaggi, letture, conoscenza ed esperienze psichedeliche.
: Ernst Jünger e Albert Hofmann: un’amicizia oltre il muro del tempodi Daniele Palmieri
L’allievo e il maestro
Proseguiamo, con questo terzo articolo, la serie di approfondimenti dedicati alla figura di Ernst Jünger e al suo rapporto con il mondo vegetale e gli psichedelici. Dopo aver analizzato il simbolismo vegetale in Sulle scogliere di marmo, descritto le sperimentazioni psiconautiche dell’autore tedesco durante il lungo corso della sua vita, affrontiamo ora un aspetto più intimo e biografico dell’esistenza di Jünger: la sua lunga amicizia con Albert Hofmann.
Hofmann è stato una delle figure di spicco della rivoluzione psichedelica della prima metà del XX secolo. Conosciuto come “il padrino dell’LSD”, la sua opera, sia teorica sia pratica, va al di là della sintesi di una delle sostanze psicoattive più famose degli ultimi 100 anni. Oltre ad aver indagato la natura di questa nuova sostanza da lui sintetizzata, infatti, Albert Hofmann dedicò l’intera sua vita al significato spirituale degli stati alterati di coscienza, indagando altre sostanze psicoattive come i funghi psilocibinici o l’ololiuqui e cercando di trovare una sintesi tra la sua conoscenza scientifica del mondo e le sue visioni trascendenti. Per farlo, intessé attorno a lui una rete di relazioni con intellettuali come Aldous Huxley, Timothy Leary, Rudolf Gelpke, Gordon Wasson e, non ultimo, Ernst Jünger. Fu proprio l’incontro, prima letterario e poi personale, con Jünger, a cambiare radicalmente la sua visione del mondo.
Pensando all’autorevolezza del chimico e scrittore svizzero, nonché all’impatto che i suoi scritti hanno avuto sulla cultura psichedelica, è affascinante addentrarsi negli aspetti più umani che si nascondono dietro all’aurea leggendaria che lo circonda. Un caposaldo della letteratura psichedelica come LSD. Il mio bambino difficile di Hofmann ha segnato un’epoca in maniera così pregnante che risulta quasi irreale l’idea che l’autore, maestro e guida (sebbene involontaria) di un intero movimento abbia, a sua volta, avuto un maestro in grado di destabilizzarne le certezze e spingerlo verso la ricerca.

Il primo incontro tra Hofmann e Jünger è narrato dallo stesso Hofmann in LSD. Il mio bambino difficile, dove racconta come abbia iniziato a subire il fascino dell’autore tedesco leggendo Cuore avventuroso. “Attraverso l’estensione del suo sguardo” scrive Hofmann “che abbraccia in maniera sterescopica le superfici e le profondità delle cose, il mondo aveva acquistato ai miei occhi un nuovo e diafano splendore […]. Nessun altro scrittore, quanto Jünger, mi ha dischiuso la mente” [1]. All’epoca della lettura, Hofmann non aveva ancora scoperto l’LSD (scoperta che avverrà nel 1943) e il tema delle droghe non aveva ancora sfiorato la sua ricerca chimica né la sua produzione intellettuale.
Il primo contatto tra i due avvenne a distanza di anni, il 29 marzo del 1947, quando Hofmann, all’epoca quarantunenne, da “semplice” lettore scrive la sua prima lettera a Jünger, in occasione del suo cinquantaduesimo compleanno:
Egregio Signor Jünger,
sono un lettore a cui lei, per anni, ha donato abbondantemente; desideravo, perciò, inviarle un vasetto di miele per il suo compleanno. Purtroppo non ho avuto questo piacere, poiché a Berna si sono rifiutati di rilasciarmi la licenza di esportazione. Il regalo non voleva essere propriamente un saluto da un paese in cui latte e miele circolano ancora, quanto una reminiscenza dell’incantevole frase del suo libro, Sulle scogliere di marmo, dove lei parla delle api dorate. [2]
Da questa prima lettera, nascerà un carteggio che attraverserà un cinquantennio, dal 1947 al 1997, un arco di tempo che permette di osservare come, nel corso degli anni, il loro rapporto sia evoluto da una formalità intellettuale a una amicizia sempre più intima. Scorrendo le lettere, è possibile notare come la stessa intestazione si trasformi da “Caro Albert Hofmann”, “Caro Ernst Jünger” o “Caro Signor Jünger” al più intimo “Caro Albert” e “Caro Ernst” dopo che lo stesso Jünger, nel 30 gennaio del 1972, scrive a Hofmann: “credo che nel corso del nostro reciproco avvicinamento dovremmo risparmiarci il “signore” [3]. E sappiamo, dal nostro precedente articolo, quanto pregno e ricco di significato sia il termine avvicinamento per Jünger. Come scrive Donato Novellini nella prefazione all’edizione italiana del carteggio:
Nell’incalzante dialogo postale emerge chiaramente il progressivo avvicinamento tra i due, lo si nota banalmente anche dall’approccio formale sempre più amicale e franco, tanto da contemplare, tra le svariate argomentazioni inchiostrate, argute osservazioni domestiche, umori reconditi, note di viaggi, resoconti di onorificenze ricevute, talvolta pure cronache private, lite o meno com’è affare della vita. Piccole attenzioni e premure, puntuali omaggi per gli anniversari e alle gentili consorti, testimoniano così un rapido mutamento, tra contubernali di fiali e collezioni di farfalle; speleologhi e astronauti. [4]
In questi cinquant’anni di amicizia, Jünger e Hofmann condividono, sia in forma epistolare sia dal vivo, idee, riflessioni, sogni, visioni psichedeliche, esperienze di viaggio, letture. Interessante analizzare anche lo scambio di doni tra i due, in concomitanza di compleanni, feste natalizie o occasioni speciali. Oltre ai libri, Hofmann e Jünger si inviano campioni botanici, entomologici, libri e, ovviamente, sostanze psichedeliche. Fa sorridere, oggi, la lettera con cui Hofmann comunica a Jünger di avergli inviato per posta un intero pacco di LSD. Non mancano, tuttavia, le riflessioni filosofiche e spirituali sulla vita, e anche momenti più intimi e drammatici, come testimonia la lettera di condoglianze che Hofmann dedicò a Jünger per la morte di suo figlio Alexander.
Anche in là con gli anni, si evince l’immensa stima che Hofmann nutriva per Jünger, a tal punto che, quasi cinquant’anni dopo la sua prima lettera, il chimico svizzero ancora si rivolge a lui con queste parole reverenziali:
Caro Ernst,
per il tuo 99° compleanno ti invio i miei più sentiti auguri. Che ti sia concesso arrivare al 100° in salute e con buona vista. Per me la tua festa è un’ulteriore occasione per ripensare con grande riconoscenza a quanto la mia vita sia stata arricchita dalla tua amicizia e dalla tua incomparabile opera letteraria. Cosa può capitare di meglio a una persona che poter aprire gli occhi sull’immenso miracolo della creazione? Tu sei stato colui che me li ha aperti. Con l’aumentare dell’età il nostro corpo si indebolisce. Tuttavia cresce lo stupore per il mistero dell’essere eterno, che si mostra all’occhio interiore colmandoci di una gioia sempre più profonda. Questo giustifica e ricompensa il fatto di invecchiare. [5]
In Jünger, Hofmann aveva trovato una visione complementare alla sua conoscenza chimica del mondo. Come abbiamo analizzato negli articoli precedenti, infatti, lo scrittore tedesco è in grado di conciliare magistralmente una visione allo stesso tempo materiale e spirituale della realtà; nei suoi discorsi, la metafisica si fa concreta, tangibile. La conoscenza scientifica, lungi dall’allontanare la mente dallo spirito, consente all’occhio di guardare ancora più in profondità nella materia per vedere l’invisibile. Per Hofmann, abituato a lavorare con il mondo invisibile ma, allo stesso tempo, estremamente concreto, delle molecole chimiche, la visione jüngeriana del mondo rappresenta il perfetto punto di incontro tra il piano materiale e il piano sottile. Come scrisse Hofmann allo scrittore tedesco:
In allegato il testo della relazione, una produzione di confine in cui ho cercato di spiegare che la concezione del mondo delle scienze naturali e quella mistico religiosa non si contraddicono, ma che sono due aspetti complementari di una realtà trascendentale. Per questa mia visione del mondo sono state essenziali le tue opere, nelle quali tramite la descrizione della superficie e della profondità dei fenomeni, la realtà ci appare in modo stereoscopico in una verità più grande. [6]

Dietro il muro del tempo
In Al muro del tempo, Jünger riflette sulla capacità dell’essere umano di stratificare il tempo, scandendolo da un punto di vista culturale. L’uomo è l’unico essere vivente in grado di creare degli strati geologici sotterranei che siano espressione di una determinata epoca storica, che va a sedimentarsi, nel profondo, insieme alle formazioni geologiche naturali della terra, imprimendo così un altro tipo di tempo. Le rovine del passato altro non sono che uno squarcio della cultura umana nel tempo cosmico.
Scavando a ritroso nell’amicizia di Jünger e Hofmann si vive la stessa sensazione. Estendendosi per cinquanta anni, il carteggio tra Hofmann e Jünger è uno squarcio attraverso il muro del tempo che permette di leggere, tra le righe, i grandi mutamenti storici del dopoguerra e l’evoluzione del panorama culturale. Nelle lettere riecheggiano i grandi nomi del movimento psichedelico, come Shulgin, Huxley, Leary. La loro vicinanza sia temporale sia umana con Hofmann e Jünger li rende, nelle loro parole, ancora più vivi. Leggendo lo scritto di un autore, infatti, soprattutto se questi ha ormai consegnato le sue spoglie mortali all’eternità, si ha sempre l’impressione di trovarsi di fronte a un’entità lontana, impalpabile. Se invece a parlare di quell’autore è un suo amico, un suo familiare o un intellettuale che, con questi, ha scambiato opinioni e critiche, improvvisamente lo scrittore diventa più vicino, più umano. È quello che accade leggendo le conversazioni private di Hofmann e Jünger in merito, ad esempio, a Timothy Leary, Aldous Huxley, Gordon Wasson, quando parlano dei loro testi, dei loro incontri e convegni a cui hanno partecipato. Ancora più straniante assistere al momento esatto in cui sono nate opere cardine della letteratura psichedelica; si vive la sensazione di scavare nelle stratigrafie della cultura umana.
Come accennato in precedenza, Jünger e Hofmann erano soliti inviarsi i dattiloscritti inediti delle loro reciproche produzione, per poi scambiarsi opinioni e commenti. Leggendo le loro lettere, veniamo catapultati in momenti creativi epocali come il 17 maggio 1970, data in cui Jünger comunica a Hofmann di aver terminato il manoscritto di Avvicinamenti, dedicandogli, in anteprima, il passaggio finale del testo. O come l’11 marzo 1978, data in cui Hofmann ipotizza, per la prima volta, il titolo del suo scritto più famoso:
In allegato, dal dattiloscritto della mia prima opera sull’LSD, la bozza del capitolo Irradiazione da Ernst Jünger, con richiesta di revisione. Affinché possa farti un’idea del contesto in cui verrà pubblicato, accludo un riassunto dell’intero libro […]. LSD. Il mio difficile bambino prodigio, cosa ne pensi di questo titolo? [7]

Attraverso le loro lettere, così come nei diari privati di Jünger, vediamo anche mutare, sullo sfondo, le condizioni storiche e sociali. Dalle lettere del dopoguerra a quelle del ’97, dunque all’alba del nuovo secolo, assistiamo al sorgere della società contemporanea. Sia Jünger sia Hofmann, oltre che intellettuali, erano anche grandi amanti dei piaceri della vita, e dopo i duri anni del conflitto passeranno la seconda parte della loro esistenza a viaggiare in Europa, Asia, America. Tra le loro mete preferite, la Sardegna, Ibiza, i laghi lombardi. Da un lato si fanno entrambi sedurre dal fascino degli spostamenti veloci, dall’altro sono testimoni critici dell’ascesa del volgare turismo di massa, delle conseguenze nefaste della cementificazione selvaggia, dei viaggiatori superficiali, del caos provocato dalle automobili, dalla vita cittadina sempre più frenetica, dalle infrastrutture sempre più invasive. Aspetti che ritornano anche nei diari personali di Jünger, in cui si lamenta di come le automobili abbiano cambiato l’aspetto e l’acustica del paesaggio, deturpando la quiete della natura. Dettagli tra le righe che riflettono il seppellimento della vecchia stratigrafia pre-bellica e del mondo naturale sotto i fiumi di cemento, rotaie, strade, stazioni, porti, areoporti e infrastrutture volte a creare una interconnessione globale. Il tutto, mediante l’estrazione di una sostanza chimica figlia di stratificazioni antiche milioni di anni: il petrolio. A questo riguardo, risultano quantomai profetiche e attuali le inquietudini che Hofmann esprimeva a Jünger nel 1983:
Mi preme rivolgermi a te già adesso, per iscritto, per parlarti di problemi che mi angustiano in modo particolare. Nutro però la flebile e vana speranza che tu non condivida il mio pessimismo, e che possa farmi intravedere un barlume di speranza. Il primo riguarda il bosco. Prima ritornavo dalle mie passeggiate nel bosco sempre rinvigorito. Ora succede il contrario. I tristi scheletri degli abeti, il cui numero cresce di continuo, destano pensieri apocalittici. Prima cercavo conforto nel bosco, fiducioso che la sua realtà sopravvivesse a tutte le brutture della civiltà industrializzata, che un giorno avrebbe fatto sparire. Ma ora che anche il verde grembo di Gea, che si credeva indistruttibile, mostra le sue prime ferite, la situazione si fa seria. […] ,La domanda è se siamo ancora in tempo per sostituire il consumo di petrolio e carbone con la tecnologia dell’idrogeno e dell’energia solare, prima che i boschi riportino danni così ingenti da non riuscire più a trasformare abbastanza luce in energia per continuare a garantire il ciclo vitale sulla terra. [8]
Ernst Jünger
(Ri)avvicinamenti
Fino ad ora abbiamo sottolineato il ruolo da maestro che Jünger ha rivestito per Hofmann ma, come in tutte le grandi amicizie spirituali, lo scambio è stato biunivoco. Se Jünger ha “irradiato” Hofmann con le sue parole, aprendogli una nuova prospettiva sul mondo, Hofmann ha rintrodotto Jünger all’esperienza dell’Avvicinamento.
Abbiamo visto come Hofmann abbia scritto a Jünger nel 1947, soltanto 4 anni dopo la scoperta dell’LSD. La sostanza non era ancora nota al grande pubblico e, per quasi un anno, il chimico svizzero non tratterà con lo scrittore tedesco il tema delle sostanze psicoattive. Il tutto fino al marzo del 1948, quando Hofmann invia a Jünger i suoi studi sull’LSD, ricevendo questa risposta:
La ringrazio infinitamente per la dettagliata lettera con i due allegati sul suo allucinogeno. In effetti sembra essersi addentrato in territori misteriosi e tentatori. […] Per quanto mi riguarda, mi sono lasciato alle spalle la sperimentazione diretta da molto tempo. Di fatto si tratta di esperimenti con i quali prima o poi si entra in camere davvero pericolose e c’è da essere contenti se ce la si cava per il rotto della cuffia.
Gli stati alterati di coscienza sembrano, per Jünger, qualcosa di relegato al passato. Tuttavia, l’incontro con Hofmann ridesta nello scrittore tedesco un richiamo fatalistico; riemergono i ricordi degli avvicinamenti del passato. Forse comprende che è il momento di ri-avvicinarsi al mistero che si nasconde al di là della coscienza.
Così, pochi mesi dopo il suo diniego nei confronti delle sostanze psicoattive, il 5 luglio 1948: Jünger scrive a Hofmann “Qui nel frattempo ho trovato una bottiglia di mandragora che mi ha provocato brutte visioni. […] Sono dell’opinione che la profondità di ognuno corrisponda alla sua altezza. Ma vale anche il contrario? Penso di no, poiché ci sono abissi assoluti”. Dove abbia trovato quella bottiglia di vino di mandragora e quali esperienze abbia vissuto non è dato sapere, dato che nemmeno in Avvicinamenti racconta questa esperienza traumatica.

Ci vollero circa tre anni per convincere Jünger a reintraprendere le vie della psiconautica, e nel 1951, come raccontato anche in LSD. Il mio bambino difficile, Hofmann e Jünger si rimettono in viaggio insieme, sotto la supervisione del farmacologo Heribert Konzett. Questa prima esperienza, tuttavia, non soddisfa del tutto le aspettative di Jünger, a causa di un dosaggio troppo basso, che definisce l’LSD un semplice “gattino” nei confronti della “tigre mescalina”.
Con le esperienze successive, tuttavia, ebbe modo di cambiare opinione. Come sottolinea Hofmann in LSD. Il mio bambino difficile, le esplorazioni psiconautiche cementificarono la la loro amicizia. Le esperienze trascendenti segnarono l’anima di entrambi, creando una connessione indissolubile. Il termine del viaggio, ma non dell’amicizia, fu il 21 febbraio 1974, quando Jünger, in seguito a una forte sperimentazione, scrisse a Hofmann:
Finalmente a gennaio ha avuto luogo l’esperimento in programma da tempo, ed è stato violento. Ho perciò solo il ricordo di un totale capovolgimento, come delle doglie. Di conseguenza il mio programma è esaurito. Ora potrebbero seguire solo degli esperimenti con dosi omeopatiche, alla maniera di un buon sigaro, soltanto per piacere. Un giorno dovremmo parlare del peso; è sorprendente quello che provoca una quantità che non è più di un pizzico appena percettibile di polline, e per giunta allungata con lo zucchero. Cosa succederebbe se ne venisse sparsa una tonnellata sopra una città o in un lago? [9]
Ottenendo come risposta dal chimico svizzero:
È difficile rispondere nel dettaglio alla sua domanda su cosa succederebbe se si spargesse una tonnellata di LSD sopra una città (produrre una quantità simile ora non sarebbe più un problema). Di sicuro, in considerazione degli effetti più disparati di questa sostanza, si creerebbe un caos indescrivibile. Piani simili sono esistiti, ed è probabile che esistano ancora, negli ambienti militare. Bisogna pensare che una tonnellata di LSD frutterebbe 5 miliardi di dosi pesanti, basterebbe dunque per tutta l’umanità. [10]
Il tema delle sostanze psicoattive solleva però tra i due anche altri discorsi, oltre alla condivisione delle reciproche esperienze. Le esperienze individuali lasciano nuovamente spazio alle stratigrafie storiche che emergono dalle righe del loro carteggio. Assistiamo al racconto della repentina diffusione dell’LSD, in ampie fasce della popolazione e per scopi ludici, che esulano la visione spirituale del suo creatore. Scrive Hofmann, a tal riguardo, con parole molto critiche, il 15 maggio 1966:
Che le droghe magiche siano diventate un problema nazionale proprio negli Stati Uniti è da ricondurre al fatto che lì è dominante una concezione del mondo razionale e materialistica, che per reazione ha risvegliato la nostalgia di una realtà più profonda e più soggettiva. Oltre al buddismo zen, sempre più diffuso, uno dei modi per evadere e affermarsi è provare la droga magica. Nutro dei dubbi sul fato che profanando una droga sacra per i suoi effetti, proprio negli Stati Uniti, dove non sembrano preparati nemmeno per il più innocuo alcol, possano essere sfruttate le sue possibilità positive. C’è da temere invece che attraverso un uso improprio l’LSD finisca per acquistare fama di droga terribile. Di recente questa sostanza è già stata tacciata di tale qualifica nella prima pagina di un rotocalco. [11]
Ma la situazione è ormai fuori controllo, complice anche l’approccio “messianico” di Timothy Leary, spinto dall’idea di diffondere l’LSD tra tutti gli strati della popolazione per dare il via a una rivoluzione culturale e spirituale. Da discreto e anonimo chimico svizzero, Hofmann si trasforma, involontariamente, in un maestro della rivoluzione psichedelica sessantottina, benché egli stesso sia molto critico con questo approccio sconsiderato della sostanza. Scrive il 7 dicembre 1970, raccontando a Jünger quanto da lui sostenuto durante una conferenza stampa:
Durante il colloquio [con la stampa] mi premeva soprattutto correggere l’opinione sbagliata dei giovani, sempre più diffusa, che l’LSD sia innocuo poiché non produce alcuna dipendenza. […] Se bisogna sconsigliare ai ragazzi, e con questo intendo i giovani sotto i 20 anni, le droghe, come l’LSD, non è in primo luogo per i gravi rischi di bad trip, ma perché il vero valore di questo tipo di sostanze risiede nella loro funzione rivelatrice. Si deve/può andare a dischiudere la porta, quando l’anima sta ancora maturando? [12]

Dello stesso parere era, d’altronde, lo stesso Jünger, che già nel 1961 aveva espresso alcune riserve sull’approccio Huxley e la sua idea, più moderata rispetto a quella di Leary ma pur sempre “democratica”, di introdurre le sostanze psichedeliche in fasce più ampie della popolazione per indurre l’esperienza dell’illuminazione.
Queste cose dovrebbero essere sperimentate solo in piccoli gruppi” scrive Jünger a Hofmann “Non posso condividere il pensiero di Huxley di dare alle masse la possibilità della trascendenza. Non si tratta di finzioni confortanti ma di cose reali, se prediamo la faccenda sul serio. E in questo caso bastano pochi contatti per definire i percorsi e le direzioni. Questo va al di là anche della teologia e appartiene al capitolo della teogonia, poiché comporta l’ingresso in una nuova casa in senso astrologico. [13]
Riprendo, qui, quanto già sostenuto nell’articolo precedente circa lo scuotimento provocato da una profonda esperienza psichedelica. Essa si contraddistingue per un contatto profondo, immediato e libero da ogni filtro con un mistero invisibile dell’universo. Questo contatto richiede l’abbandono della coscienza ordinaria e questo sradicamento di uno dei capisaldi della nostra esperienza quotidiana del mondo può risultare estremamente traumatico, senza la dovuta preparazione. Gran parte dei cosiddetti bad trip, citati anche da Hofmann, sono dovuti proprio a errori di valutazioni legati al set e al setting con cui compiere l’esperienza. Una mente che non si è prima fortificata e preparata a ricevere una potente rivelazione, finirà per strabordare sotto il penso dell’onda cosmica. La visione della divinità accieca, come Paolo sulla via di Damasco. E non tutti sono in grado di rialzarsi, dopo la caduta da cavallo.
Jünger sottolinea inoltre la concretezza dell’esperienza; le visioni indotte dalle sostanze psichedeliche non sono finzioni: sono cose reali. Vi è una chiara differenza fenomenologica tra allucinazione, delirio e visione psichedelica. Delle prime non si ha più memoria e quel poco che rimane nella coscienza viene poi riconosciuto come irreale; durante l’esperienza psichedelica, invece, la coscienza rimane vigile. Il ricordo permane, come un marchio, e si ha l’impressione di aver attraversato una realtà ancor più reale rispetto al mondo ordinario. Quando l’esperienza termina, si vive l’esperienza di un ritorno da un altro piano di realtà, estremamente concreto. Questo mondo, al contempo metafisico e concreto, esige un rispetto reverenziale. La divinità non accetta ci essere trattata come un’illusione, né di essere vissuta come un momento di svago.
Tuttavia, né i moniti di Jünger né quelli di Hofmann ebbero il dovuto ascolto. Anzi, è lo stesso Hofmann a lamentarsi di come i giornali distorcessero le sue interviste pubbliche, con titoli sensazionalistici che eclissavano i suoi discorsi molto più complessi, volti né alla demonizzazione né all’abuso indiscriminato del suo “bambino difficile”.

Un legame fatale
Scandita dall’avanzare ciclico delle case astrologiche, che donano il ritmo agli anni e i cicli cosmici, la lunga amicizia tra Hofmann e Jünger fu destinata a interrompersi soltanto con il sopravvento della morte di Ernst, alla veneranda età di 103 anni.
Le ultime lettere tra i due risalgono al 1997, un anno prima della morte di Jünger. Riflettono un’amicizia ormai matura, consolidata, meditata, una relazione in grado di abbattere il muro del tempo e di assumere una connotazione divina. Scrive Hofmann, sul finire del 1996:
La sensazione di un legame fatale durante i molti anni della nostra amicizia continua a crescere con l’avanzare dell’età e contribuisce a far sperimentare l’atemporalità redentrice. [14]
A chiudere il carteggio, un’immagine estremamente poetica, che ben riflette lo sguardo poetico sul mondo sia di Hofmann sia di Jünger, nonché il loro legame tanto con la terra visibile, quanto con il mondo invisibile:
Caro Ernst,
dove il 16 ottobre 1994 hai passeggiato filosofeggiando ai piedi del bosco variopinto di rimatte (come è documentato nel film per i tuoi 100 anni), lo scorso autunno, proprio sulle tue tracce, sono cresciuti dei funghi, delle splendide clitocybe, a testimonianza del tuo legame fecondo con Gaia.
Con affetto,
Albert [15]
NOTE:
[1] A. Hofmann, LSD. Il mio bambino difficile, Urra, Milano 2013, p. 127
[2] A. Hofmann, LSD. Il mio bambino difficile, Urra, Milano 2013, p. 128
[3] E. Jünger, A. Hofmann, LSD. Carteggio 1947-1997, Giometti e Antonello Editore, Macerata 2017 p. 102
[4] Dalla prefazione di D. Novellini a E. Jünger, A. Hofmann, LSD. Carteggio 1947-1997, Giometti e Antonello Editore, Macerata 2017, p. 6.
[5] E. Jünger, A. Hofmann, LSD. Carteggio 1947-1997, Giometti e Antonello Editore, Macerata 2017, p. 140
[6] Ibidem p. 131
[7] Ibidem p. 117
[8] Ibidem p. 123
[9] Ibidem p. 108
[10] Ibidem p. 109
[11] Ibidem pag. 79
[12] Ibidem p. 95
[13] Ibidem p. 70
[14] Ibidem p. 143
[15] Ibidem p. 144.
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