
Verso la metà del secolo XII cominciò a serpeggiare tra le Fiandre e la Lombardia, tra la Renania e la Linguadoca, una nuova eresia cristiana che giungeva dai Balcani: il catarismo. Somigliava per tanti aspetti a un’eresia precedente, il bogomilismo, dal nome di un prete, Bogomil, che nel secolo X l’aveva diffusa in Bulgaria. Aveva un’impronta dualistica, ma diversamente dalla gnosi antica era nata in seno al cristianesimo: i testi cui si riferiva erano infatti quelli del Nuovo Testamento e alcuni dell’Antico. Al suo interno si distinguevano due confessioni: la moderata, secondo la quale vi era un solo Dio che avrebbe creato sia le realtà celesti sia le terrestri. Lo stesso Satana era una sua creatura: dopo esser stato cacciato dai cieli a causa della sua ribellione insieme con un terzo delle schiere angeliche, aveva corrotto la materia preesistente imprimendole forme specifiche. Aveva formato anche i primi uomini costringendo due angeli celesti a entrare nei loro corpi plasmati col fango. Dalle anime dei due angeli sarebbero derivate quelle dei loro discendenti.
I dualisti assoluti sostenevano invece, secondo una dottrina che rivelava analogie con la più antica eresia pauliciana, sorta in Armenia intorno al VII-VI-II secolo, che vi erano due Signori, l’uno “celeste”, l’altro “tenebroso”. Lucifero, figlio del principio malvagio, erano penetrato nel regno dei cieli seducendo un terzo degli angeli del Dio buono. Trascinatili sulla terra, ne aveva imprigionato le anime in corpi umani per rendere impossibile il loro ritorno all’origine. Entrambe le confessioni vedevano il corpo come il “carcere” del seme angelico che Gesù, inviato dal Padre, era venuto a liberare.
Anche sulla natura del Cristo la loro fede divergeva da quella dei cattolici: era un angelo che grazie alla Passione aveva meritato di diventare figlio di Dio per adozione ed era infine asceso al cielo senza carne. Agli uomini aveva rivelato la via per ritornare al Padre che in occitanico, la lingua della Francia meridionale, era detta intendensa de be, conoscenza del bene. Aveva istituito un unico sacramento, il consolament, un battesimo spirituale culminante nell’imposizione delle mani sul neofita da parte del celebrante e di tutti i presenti. Più che un battesimo, come lo intendiamo noi, era un’unione mistica grazie alla quale l’anima decaduta si ricongiungeva, virtualmente, alla sua parte rimasta in cielo, lo spiritus sanctus, il quale a sua volta viveva in comunione con lo Spiritus principalis, lo Spirito Universale. Questo battesimo, se fosse stato seguito da una vita pura, avrebbe ricondotto dopo la morte l’anima in cielo sottraendola al ciclo delle reincarnazioni.
Per vita pura i Catari intendevano l’astinenza dai rapporti carnali per non contribuire alla catena delle reincarnazioni, l’obbligo della verità, la proibizione del giuramento, il divieto assoluto di uccidere con il corollario, di astenersi dalle carni degli animali ma anche da ogni cibo che derivasse da un coito, e infine l’obbligo di esercitare un lavoro. A questa vita erano obbligati i “perfetti”, coloro che avevano ricevuto il battesimo, mentre i semplici “credenti”, non ancora giunti a quel grado di iniziazione, modellata sulle iniziazioni dei misteri antichi e della gnosi neoplatonica e cristiana, potevano sposarsi, combattere, alimentarsi liberamente.
Non si sorrida di queste dottrine, che qui si sono riassunte nei punti principali, ma sono più complesse e variegate come si potrà constatare leggendo La cena segreta. Trattati e rituali catari che Francesco Zambon, cui dobbiamo anche una eccellente edizione del Fisiologo, il primo bestiario occidentale, ha curato per Adelphi premettendo un ampio e documentato saggio introduttivo.
Si definivano boni christiani o boni homines o amici Dei i Catari. Il nome (dal greco catharos, puri), destinato ad avere una grande fortuna, nacque invece presso i teologi e polemisti cattolici. Ma furono chiamati anche Albigesi, dalla città di Albi, una delle principali diocesi catare della Linguadoca; o anche Tessitori, perché molti esercitavano quel mestiere; e in Italia Patarini da patée o pattari, che nel dialetto milanese erano gli straccivendoli. Un secolo prima la Pataria era stata una comunità di chierici e laici lombardi che, giudata da Sant’Arialdo, aveva combattuto la simonia e il matrimonio dei sacerdoti, ma era rimasta nel solco dell’ortodossia.
Consideravano la Chiesa romana “madre delle fornicazioni, grande Babilonia, meretrice e basilica del diavolo”. Ne negavano l’origine apostolica, i sacramenti e i riti. Condannavano ogni segno esteriore di culto, dagli edifici sacri all’adorazione della Croce e delle immagini, dai canti religiosi al suono delle campane. L’eresia catara si sviluppò soprattutto nella Linguadoca, diffondendosi anche fra la nobiltà locale. Convinceva molti lo stile austero e povero dei Catari, opposto a quello degli ecclesiastici cattolici che ostentavano lusso e si comportavano poco evangelicamente.
Nel 1209 l’assassinio del legato papale, Pietro di Castelnau, offrì l’occasione a Papa Innocenzo III di indire una crociata. La lotta contro gli eretici fu utilizzata dal Regno di Francia per estendere i suoi confini fino al Mediterraneo in una guerra di conquista nobilitata da motivi religiosi. Roghi e massacri costellarono la crociata che si concluse il 12 aprile 1229 quando Raimondo VII di Tolosa dovette cedere parte dei suoi territori al re di Francia, impegnandosi a collaborare con la Chiesa nella repressione cruenta dell’eresia. Il catarismo era ormai condannato. Ne segnò l’inizio del rapido tramonto la caduta di Montségur nel 1244, la roccaforte pirenaica dei Catari. Più di 200 eretici vennero bruciati vivi: oggi ancora vi è un prato nelle vicinanze chiamato sinistramente prat des cremats. Alla sua definitiva scomparsa contribuirono infine gli ordini mendicanti della Chiesa, dai francescani ai domenicani, con il loro esempio di povertà e la loro predicazione. Quella sarebbe stata la via maestra per contrastarla, non la violenza e l’intolleranza.
Fino al nostro secolo i testi della religione catara, poiché si tratta di una vera e propria religione, erano scomparsi: si pensava che fossero stati distrutti dall’occhiuta, implacabile, ma poco evangelica persecuzione ecclesiale. Il solo testo noto era il cosiddetto Rituale cataro di Lione, trasmesso in appendice a una versione occitanica del Nuovo Testamento. Nel 1939 Antoine Dondaine, un domenicano, pubblicava il Libro dei due principi, che aveva scoperto fortuitamente nella Biblioteca Nazionale di Firenze. A quel rinvenimento ne seguirono altri sino a formare un corpus dottrinario che finalmente offriva la possibilità di conoscere integralmente il pensiero del catarismo.
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Tratto da Il Giornale del 28 marzo 1997 (ove era apparso col titolo Contro la Chiesa e i campanari).
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