Come e perché riguadagna linfa la logica pagana e di che antropologia è espressione rispetto al mental frame monoteistico ebraico-cristiano e alla sua rappresentazione dell’uomo. Sulla scorta di Natoli, De Benoist, Campbell e Augè proveremo a trovare delle risposte.
di Lorenzo Cerani
Per lo Zeitgeist contemporaneo la religione nel suo significato complessivo rischia di essere derubricata ad un bagaglio culturale inutile, una pratica obsoleta oggetto di derisione sacrificata sull’altare della razionalità tecno-scientifica (nel “sistema tecnico” direbbe J. Ellul), un discorso fallace e privo di basi reali secondo lenti troppo freddamente razionalistiche. Senza voler fare discorsi passatisti è innegabile come della religione vissuta, del carattere esperienziale dei fenomeni religiosi (su cui ha contribuito a gettare luce l’antropologia religiosa fenomenologico-ermeneutica di J. Ries), in troppi casi se ne dice quel poco che è consentito da questo monocorde e ripetitivo refrain per il quale essa è mero incantamento frutto di predisposizioni biologiche della nostra specie accantonabili evolutivamente [1] e il significato sotteso ai suoi riti viene disperso a vantaggio di letture esegetiche che li avvicinano scientisticamente a disturbi ossessivo-compulsivi, facendo in un’ottica a rischio riduzionismo del “supercollante” la finalità della pratica religiosa [2]. Il fenomeno religioso nella sua specificità viene così bandito e considerato alla stregua di un residuo storico, un resto archeologico di epoche remote incapace di provocare una partecipazione emotiva in una stagione culturale dominata da un’ateizzazione di massa senza precedenti (si pensi soltanto alle statistiche riguardanti il crollo delle vocazioni ecclesiastiche parallelo alla desertificazione delle chiese da parte dei fedeli). Rischia di essere dimenticato il valore della religione come struttura della coscienza, il suo costante rinvio ad una dimensione aurorale dell’esperienza e ad una dimensione originaria che trova espressione tanto nella cerca della “terra senza il male” del popolo Guaraní quanto nelle odierne pratiche spiritiche che scimmiottano il sapere tradizionale degli uomini-medicina [3].
Allo stesso tempo, in parziale contraddizione rispetto a questo fenomeno imponente di scristianizzazione nella vecchia Europa e negli States (dove ad esempio già il critico letterario H. Bloom parlava di post-cristianità) negli ultimi decenni pare di assistere ad un contromovimento spirituale, una risposta resistenziale all’angoscia bruciante dell’horror vacui: si assiste così ad un ritorno del rimosso dell’antica cultura religiosa pagana, riguadagna linfa una visione delle cose improntata ad una sacralizzazione del mondo e della natura. Già S. Freud parlava di grande avvenire per la religiosità (pur concependola alla stregua di un fenomeno illusorio senza fondamento imparentabile con la nevrosi), e almeno su questo punto, anche tenendo presente autori diversi come Eliade o Girard che interpretano l’umano come intrinsecamente homo religiosus, non sbagliava [4].
L’anastasianesimo russo di V. Megre e la rodnoveria slava, il rinnovato interesse per la teosofia steineriana, l’etenismo wotanico e odinico, il lascito della vecchia controcultura hippie e il folk music revival, la popolarizzazione (per quanto non troppo scientifica e tendenziosa) della spiritualità naturalistica ad opera di G. Gardner e M. Murray e del loro movimento wicca, l’hetanesimo armeno e le rivitalizzazioni delle culture druidiche dell’Ár nDraíocht Féin, alcune diramazioni dell’ecologismo radicale che concepiscono il pianete un sistema vivente rivitalizzando inconsciamente l’antica immagine dell’anima mundi e il movimento romano-italico cui dedicò studi R. Del Ponte, al di là del fatto di costume e del folclore documentano un bisogno di senso e una nostalgia per la reintegrazione e la coincidentia oppositorum promessa dalle religioni cosmiche descrittaci dall’Eliade [5]. Lo storico delle religioni rumeno, infatti, aveva già permesso di identificare dietro a prodotti culturali apparentemente innocui come i fumetti o i nuovi media l’ascendente occulto del mito pagano che rivive nelle imprese dei personaggi dei comics, un lascito di un passato che non vuole passare che continua a esercitare i suoi effetti metamorfosandosi [6]. Nel tentativo di marcare una distanza dalle religioni abramitiche riattualizzando riti e miti di mondi culturali scomparsi sotto l’incedere delle religioni del libro, infatti, tutte queste declinazioni del paganesimo nella contemporaneità offrono esempi di esperimenti spirituali capaci di sfidare la morsa monoteistica decostruendone l’impalcatura metafisica a vantaggio di un immanentismo integrale, una ricucitura dello strappo tra l’uomo e la natura consumato dalla religiosità ebraico-cristiana fortemente dualista prima e dalla Tecnica moderna poi come sua logica conseguenza (figlia della fede cieca nel progresso di matrice biblica) che tracciano una linea che va dal cristianesimo secoli con l’industrialismo selvaggio ecc. (impiantandosi su un mondo desacralizzato ad opera della spiritualità trascendente abramatica che rompendo col vecchio immanentismo pagano per il suo antropocentrismo su cui aveva già puntanto il fuoco di concentrazione P. Singer apre la possibilità alla planetarizzazione tecnica e alla sua manipolabilità senza limiti cui accennava cripticamente il filosofo di Meßkirch).
L’orizzonte di senso promosso dalla religione biblica nella lettura di M. Heidegger [7] infligge una violenza simbolica alla realtà disunendola e spezzandola in due tra carne/spirito, uomo/Dio, aldiquà/aldilà facendo del logos il figlio di Dio secondo uno schema gerarchico di contro al logos eracliteo, tendente all’unione armonica e anti-dualistica degli opposti complementari (idea rigettata dall’antropologo e apologeta cristiano R. Girard [8]). Difatti nella fede ebraico-cristiana (prestando fede ai suoi avversari) si attua un capovolgimento dell’esteriorità, come descritto brillantemente da Nietzsche [9], una denaturalizzazione dell’uomo dal suo ambiente che alla cosmicizzazione promossa dalle culture arcaiche gravitanti sempre rispetto ad un centro, ad un axis mundi che riorganizza lo spazio secondo le linee di una geometria religiosa oppone una frattura netta tra cielo e terra che si cominciano a credere inconciliabili a tutto vantaggio di una soteriologia storica, anti-ciclica terminante con una Parusia [10].
Ancora S. Natoli [11], discettando di neopaganesimo come etica all’altezza dei tempi in grado di rispondere al bisogno di credere di un’umanità orfana del dio biblico, propone la ripresa della finitudine integrale promossa dal modus vivendi antico rimodulandola con la tecnica e intrecciandola con suggestioni nietzschiane per battere in breccia la farmacopea cristiana e le sue speranze redentive.
Per Natoli urgerebbe quindi, pena lo scontare la condanna nichilista inflittaci dal monoteismo ebraico-cristiano che ha causato un divorzio tra ragione e sensibilità e tra uomo e mondo (svuotando di senso la ricchezza di quest’ultimo e preannunciando la vittoria della ratio moderna incarnata dalla tecnica [12]) rinunciare alla nostra fame di Assoluto e accettare di riconciliarci con la nostra mortalità, ancorandoci alla terra come raccomandava il filosofo-dinamite Nietzsche nel suo Zarathustra. Tutto questo per dare vita, nelle intenzioni di Natoli, ad una forma di paganesimo rinnovato, rielaborato e ibridato con gli sviluppi della modernità, che se da un lato si vede costretto a rinunciare al tragico che per effetto della cristianizzazione è ormai scomparso dalla scena (Natoli si sofferma sulla congiunzione organica tra la vita vissuta dagli antichi e la sofferenza che le era consustanziale per la loro mentalità) dall’altro garantirebbe un maggiore rispetto dell’ordo naturalis e una visione più equilibrata dell’uomo al di là dell’automortificazione dell’imitatio Christi perché come insegnavano i greci ogni possibilità di valore è ascrivibile a limiti precisi e può tendere alla perfezione solo entro questi limes [13]. Nel solco di queste analisi, il mitologo J. Campbell articolava la sua proposta di una lettura del mito ribaltando il luogo comune che lo vuole una mera affabulazione rispetto alla religione propriamente detta, reinterpretandolo come una forma cristallina di fede popolare basata su immagini simboliche afferenti ad una matrice inconscia collettiva sulla falsariga di Jung con funzioni metafisiche, cosmologiche, sociali, psicologiche [14]. D’accordo con Natoli, Campbell ritiene che la religione pagana sia in grado di offrirci con il suo patrimonio di simboli e il suo repertorio sconfinato di miti un sistema vivente [15] di credenze e di valori cui l’uomo contemporaneo può guardare per evitare il pendio scivoloso del bisogno di immortalità promosso da religioni andate in obsolescenza, perché la spiritualità mitica ha il pregio di “restituirci all’innocenza del divenire” per citare Nietzsche, mostrandoci che l’eternità sia tutta qui. In chiave neo-nietzschiana ed eudemonistica sull’esempio greco-romano come nel caso di Natoli o seguendo l’ascendente junghiano e facendo propria una ripresa della mitologia come vademecum pratico per l’orientamento esistenziale sulla scia di Campbell, si afferma così la necessità di un distacco critico dalle promesse oltremondane delle fedi monoteistiche a vantaggio di una risemantizzazione dell’aldiquà in chiave positiva e gloriosamente affermativa.
In “divergente accordo” (per citare il rapporto ambivalente Taubes/Schmitt) con gli autori summenzionati, il controverso pensatore francese del GRECE A. De Benoist muove da diverso tempo una ricerca volta alle radici spirituali e culturali dell’Europa identificate nella traditio greco-romana rigettando il logos cristiano nel suo universalismo e sfruttando le risorse offerte tanto dall’antropologia culturale quanto dal “pensiero negativo” della critica della ragione moderna di Nietzsche e Heidegger per non dimenticare il contributo teorico della Konservative Revolution (Spengler, Schmitt, ecc.). Il neopaganesimo, per De Benoist in un saggio dell’81 [16], più che un supplemento d’anima in un’epoca di disincanto coniugabile con l’acquisto positivo di un’emancipazione dalla sofferenza come nella proposta teorica natoliana, è una dura necessità, un dovere impostoci dal bisogno profondo in risposta alla crisi contemporanea in cui versiamo di guardare al nostro passato avito, per attingervi gli strumenti culturali utili al nostro riscatto come europei. In De Benoist prende corpo una peculiare forma di tradizionalismo anti-conservatore, per dirla alla M. Veneziani, in cui al tentativo di riattivare le forme della tradizione si accompagna il rigetto per l’antimodernismo di maniera e la consapevolezza che ogni patrimonio identitario sia dinamico e soggetto ad un’attiva modificazione da parte dei suoi proponitori che ne riattivano il potenziale per l’attualità [17].
De Benoist, che comincia la sua arringa a difesa del paganesimo ribadendo come sia presente nella cultura del nostro tempo una spinta al pluralismo e al radicamento culturale di contro al vecchio universalismo ed egualitarismo cristiano [18], reputa che a darsi battaglia nel cuore degli occidentali sono due idee antitetiche circa il sacro e la spiritualità più in generale. Agli occhi debenoistiani il cristianesimo e l’ebraismo dualizzano in profondità l’esperienza dell’uomo nel mondo e rispetto al divino, concepita nel senso creazionista di una fabbricazione ex nihilo che apre la strada ad una rottura radicale tra l’io e la realtà che trova prolungamenti nella filosofia moderna individualistica e nella scienza meccanicistica (messa in crisi recentemente dalla teoria dei sistemi) che ne sono il portato [19].
La metafisica ebraico-cristiana così depriva di sacralità la vita e concepisce l’uomo come un mero esecutore di comandi divini, eteronomo rispetto ad un creatore compiaciuto e in totale discontinuità rispetto all’animalità biologica che gli è diventata inaccessibile a causa della caduta laddove il paganesimo mostrava un’impostazione più elastica e meno rigida [20]. Il cristianesimo come eresia ebraica che radicalizza antinomie presenti nel pensiero ellenico è derubricabile ad “antireligione” per De Benoist nella misura in cui moralizzando Dio e trasfigurandolo in qualcosa di completamente altro dall’umano legandovisi inestricabilmente rinunciando alla propria libertà e moralizzando la divinità affossa l’uomo ritenuto l’unico responsabile del male nel mondo, dando luogo ad un “ipermoralismo” (cit. A. Gehlen) che preannuncia il fanatismo dei diritti umani odierno [21]. Sempre il cristianesimo in aperta cesura rispetto alla paganità rinnega la concezione sferica del tempo e l’idea profondamente radicata nell’antichità che non ci fosse una meta finale inaggirabile a vantaggio di quella che per il tramite del razionalismo diventerà futurologia, filosofia della storia lineare e mitologia del progresso inevitabile [22], facendo del dio l’irrappresentabile svilisce la mitologia e la sua funzione simbolica in forza di una generale iconoclastia razionalista del significante unico di cui sono eredi tanti movimenti culturali moderni, dall’arte astratta alla psicoanalisi fino al marxismo [23].
Questo perché la religione ebraico-cristiana, nell’ottica debenoistiana, demitologizza e attua la desacralizzazione del mondo in anticipo sui tempi della scienza moderna (un’idea su cui invitava a riflettere lo stesso Girard nel suo magnum opus) in forza della separazione radicale tra il creatore e il creato che impedisce la valorizzazione della naturalità combattendo l’idolatria spalancando le porte al totalitarismo nella sua caccia al particolare che devia dalla legge universale divina e al nichilismo come sua logica conseguenza una volta che l’uomo si trova in balia di se stesso in un mondo amorfo [24].
Concludendo la diagnosi, De Benoist si impegna a valorizzare l’eroismo pagano (condannato dal socialista umanista E. Fromm come manifestazione della violenza), il bisogno di radicamento e gerarchia dei popoli secondo le linee di un relativismo culturale avverso alla westernization [25], si spende in lodi verso la tolleranza pagana fondata sul pluralismo delle manifestazioni di culto [26], valorizza dell’uomo pagano la sua intrinseca politicità (a partire da suggestioni schmittiane sul tema) di contro al disimpegno cristiano che vede al modo di Agostino la politica come una barbarie necessaria [27], mostra come la rappresentazione pagana della divinità come unità dei contrari che si ritrova in Eurigena, Cusano e nei romantici [28]. L’autore esprime, infatti, soddisfazione per una possibile reviviscenza degli dèi in un’epoca di decadimento culturale e religioso, contrassegnata dall’incapacità di essere latori di senso con il venir meno del vecchio monoteismo biblico che centralizzava come un soggetto assoluto (citando L. Althusser all’inizio del suo scritto e le sue riflessioni sull’ideologia) lo spazio umano che nelle antiche religioni si muoveva in sincrono con la spiritualità della natura: in De Benoist assistiamo così alla ripresa del sacro arcaico e al tentativo radicale di riattivare la forma di vita tragica che in Natoli abbiamo visto essere diventata per necessità storica inafferrabile (donde la proposta teorica più moderata di una mediazione con lo spirito moderno).
Alain de BenoistIn tema di “logica pagana” impossibile non citare uno studio dell’antropologo dei nonluoghi M. Augé, dedicato al problema di sviscerare il genio del paganesimo mostrandone le specificità e scandagliandone i rituali che corredano la vita collettiva di popoli che ancora oggi vi si ispirano Africa nera (ad esempio presso i Mina, i Peda, i Kikuyu, ecc.) [29]. Per Augé, che nel testo intende fare il verso al più celebre scritto di apologetica cristiana del romantico francese Chateaubriand, l’uomo pagano si differenzia dall’antropologia ebraico-cristiana in ragione dell’assenza dell’idea di peccato e della “immanenza del mondo divino al mondo degli uomini” senza giustapposizioni dualiste [30]. Il cristianesimo nel suo portato culturale, in analogo a De Benoist, frantuma la cifra olistica dell’antropologia filosofica pagana, che è connaturatamente sociale, laddove il cristiano vive un rapporto di intimità col suo dio tutto interiore in antitesi rispetto ai riti delle più antiche religioni che vedono gli dei e gli uomini marciare fianco a fianco (gli dei, scrive Augé, sono “strumenti di relazione con gli altri” [31]), ignari delle future fratture ontologiche tra il divino e l’umano promosse dalle religioni abramitiche. Per ribadire il punto, al modello di uomo cristiano importa più la salvezza personale del manifestarsi del sacro nella comunità di appartenenza e in questo senso l’antropologia pagana non cessa di disturbare come un rumore di sottofondo l’affermazione monoteistica, che indirizza il fedele verso pratiche religiose sempre più astratte e idealizzate di mediazione col dio [32]. Nella religione politeista il dio, difatti, è uno strumento dell’agire e al contempo un principio ordinatore del sistema cosmologico di riferimento: esso simbolizza lo sforzo antico di decifrazione della “arbitrarietà della natura” per dirla alla Augé, la sua plasticità e ambiguità anche sessuale rimanda per converso al sistema di opposizioni complementari in cui si articola la stessa communitas degli uomini [33].
Diversa la spiegazione del ruolo dell’eroe nell’antropologia pagana: l’eroe dà voce alla cultura umana, assolve la funzione di mostrarne l’antropogenesi (nel caso dell’eroe mitico prossimo agli antenati che istruisce gli uomini su come vivere o li dota di particolari strumenti), di sottolineare le contraddizioni della legge (per questo l’eroe tragico patisce conseguenze terribili per aver commesso trasgressioni), oppure come nel caso degli eroi da romanzo è il mero prodotto degli avvenimenti, sempre in attesa [34]. L’eroe per essere tale è chiamato all’azione, a rinvenire un senso nel suo percorso o esserne già provvisto, misurarsi sempre con il limite della morte in agguato, queste le sue coordinate antropologiche [35]. Sempre in riferimento all’antropologia pagana risulta essere centrale la nozione di persona come sistema integrato di componenti socioculturali senza divisioni rigide cartesiane tra la dimensione fisica e mentale da distinguersi dalla nozione di individualità come psichismo soggettivo che non può essere completamente relativizzata (come proposero Deleuze e Guattari) a partire da studi etnologici sugli Oruba, i Jivaro, i Samo ecc. [36].
Spostando poi il fuoco di concentrazione sulla teoria e pratica della stregoneria, Augé giunge ad affermarne la centralità definendola una logica peculiare del paganesimo, sulla scorta di studi etnologico-antropologici (sui Kaguro, i Chewa, i Lele, ecc.) come modalità sociali e simboliche di gestione della “infelicità e violenza degli uomini” [37]. La stregoneria, abitualmente distinguibile come ricorda l’autore in sorcery volontaria e witchcraft ereditata per maledizione e trasgressione intergenerazionale, è uno specchio della realtà sociale della comunità pagana, secondo le linee di una filosofia di vita monista, per la quale i significati hanno ricadute reali, sono “rapporti di forza” e la continuità tra il biologico e il sociale è indissolubile [38].
Connessa a questa logica pagana si situa la “logica ritualistica” che presso i popoli africani come quelli precristiani li porta periodicamente a trasgredire i divieti o effettuare riti di inversione sessuale che conducono gli uomini per un tempo limitato ad esacerbare le differenze in drammatizzazioni aventi lo scopo di relativizzare le differenze per riaffermarle e riportare ordine interno alla comunità, come nel caso degli Avlekete [39]. Avvicinabili per un verso ai riti di inversione (incentrati sul mimetismo e la cancellazione delle differenze) della particolare “logica ritualistica” paganeggiante, i profetismi precristiani ribadiscono attenzione al mondo concreto, al qui e ora della promessa di salvezza collettiva dei profeti ivoriani o dei movimenti spirituali melanesiani studiati da P. Worsley, strumenti culturali di controllo della storia e di destabilizzazione dell’ordine sociale, sintomatologici di crisi [40].
Conclusa la nostra breve disamina delle specificità antropologico-filosofiche del paganesimo nelle sue attualizzazioni contemporanee, occorre forse domandarsi se la lettura della religione ebraico-cristiana da cui partono le analisi prese in esame non ne sottovaluti l’unicità consistente nella difesa della “nuda vita” considerata un valore in se stessa (come ricordato nell’interpretazione antropologica girardiana che riprende le tesi della S. Weil) di cui l’istituzione cattolica nelle sue logiche di potere per citare I. Illich ha rappresentato un “pervertimento” [41]. Forse il cristianesimo potrebbe, invece, essere accettato come “necessità storica” che ha condotto per eterogenesi dei fini sia pure al prezzo di una lacerazione interiore dello spirito umano ad un arricchimento indispensabile per l’uomo, lo stesso Nietzsche evocato da De Benoist nel suo “Genealogia della morale” critico ferocissimo del cristianesimo forse non intaccava (come suggerito da M. Scheler prendendo le distanze dal filosofo del martello) il senso profondo dell’ethos cristiano ma la sua sclerotizzazione borghese, la sua degenerescenza [42]. Uno sviluppo della polarità antropologia pagana/antropologia ebraico-cristiana potrebbe essere dato da un sano recupero del bisogno di radicamento in seno alla comunità e di rottura col dualismo cartesiano responsabile del nichilismo a detta degli autori sopraccitati dialettizzando la lebensform cristiana rispetto alle sopravvivenze pagane, realizzando una aufhebung tra la spinta universalistica propria delle religioni del libro abramitiche e la controtendenza pagana di una logica della molteplicità che potrebbe avere un corrispettivo nel postmodernismo [43]. In questo senso si potrebbe ammorbidire ciò che per lo spirito dei tempi risulta indigeribile del lascito culturale abramitico edulcorandolo con le riprese moniste e anti-dualiste proprie della condicio pagana. Un altro tracciato seguibile potrebbe essere altrimenti l’indebolimento delle premesse filosofiche dell’antropologia ebraico-cristiana scegliendo di rileggere la kenosis cristiana come una decostruzione radicale dell’ontologia e più in generale del fondazionalismo filosofico [44]. In questo caso l’itinerario da scegliersi comporterebbe un ibridazionismo filosofico tra le premesse di senso tipiche della religione cristiana e lo sguardo immanentistico centrale per il paganesimo, ridimensionandone la logica interna ma comunque accettando i presupposti antropologico del personalismo cristiano pena, come nella proposta debenoistiana, di esporre il fianco alla taccia di reazionarismo. Rimangono poi aperte le alternative reciprocamente escludentesi di recupero integrale delle tradizioni avite che i movimenti neopagani si propongono di ricostruire e di radicalizzazione del lato iconoclasta e demitologizzante della religione cristiana (che secondo questa esegesi è già scuola del sospetto perché col suo divorzio tra un significante supremo e il mondo inteso come un geroglifico vivente preannuncia il marxismo). Da una parte saltando d’un balzo oltre la modernità che siamo abituati ad accettare e il vecchio cristianesimo occidentale che non sembra avere più sbocchi (l’opzione teorica dei vari Natoli, De Benoist, ecc.) con il rischio paventato da Girard di una ribarbarizzazione per il fondale violento dei culti pagani (su cui insisteva anche W. Burkert in un’importante studio coevo); dall’altro lato forse proprio con l’accettazione delle antinomie cristiane sfocianti del nichilismo, destino ultimo dell’Occidente opulento secondo il giudizio di Nietzsche, Spengler e Heidegger si aprirebbe la possibilità di chiudere la partita dell’intero decorso filosofico-antropologico moderno (che come insegnava K. Löwith è figlio nella sua fiducia del progresso di una laicizzazione della “De Civitate Dei”) sulla scia della crisi della ragione novecentesca declinata nella direzione di uno scetticismo radicale.
Scheler (citato in esergo ad un importante scritto girardiano del ’61 dedicato al tema del desiderio mimetico nella letteratura e nella vita che costituisce il primo tassello della sua teoria antropologica dedicata al fenomeno della violenza nelle comunità umane e al ruolo del sacro) ebbe a scrivere che l’uomo avesse o una divinità o un idolo. L’aporia in cui si dibatte la contemporaneità consiste nel non sapere in partenza se l’uomo possa fare a meno del suo bisogno di credere e su cosa possa fare di questo bisogno addomesticandolo alle esigenze mutate della sua epoca.
NOTE:
[1] Cfr. D. C. Dennett, Rompere l’incantesimo. La religione come fenomeno naturale (2006), Cortina, Milano, 2007.
[2] Cfr. D. Xygalatas, Ritual. Storia dell’umanità tra natura e magia (2022), Feltrinelli, Milano, 2023.
[3] Cfr. M. Eliade, La nostalgia delle origini. Storia e significato della religione (1969), Morcelliana, Brescia, 2020.
[4] Cfr. S. Freud, L’avvenire di un’illusione (1927), Bollati Boringhieri, Torino, 1990.
[5] Cfr. M. Eliade, Mefistotele e l’androgine (1962), Edizioni Mediterranee, Roma, 2011.
[6] Cfr. M. Eliade, Mito e realtà (1963), Borla, Roma, 1990.
[7] Cfr. M. Heidegger, Introduzione alla metafisica (1953), Mursia, Milano, 1990.
[8] Cfr. R. Girard, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo (1978), Adelphi, Milano, 2020 pp. 328-348.
[9] Cfr. F. W. Nietzsche, L’Anticristo. Maledizione del cristianesimo (1894), Adelphi, Milano, 1982.
[10] Cfr. M. Eliade, Il sacro e il profano (1957), Bollati Boringhieri, 2013.
[11] Cfr. S. Natoli, I nuovi pagani. Neopaganesimo: una nuova etica per forzare le inerzie del tempo, Il Saggiatore, Milano, 1995.
[12] Cfr. U. Galimberti, Orme del sacro: il cristianesimo e la desacralizzazione del sacro, Feltrinelli, Milano, 2000; Id., Cristianesimo: la religione dal cielo vuoto, Feltrinelli, Milano, 2012.
[13] Cfr. S. Natoli, op. cit.
[14] Cfr. J. Campbell, Percorsi di felicità. Mitologia e trasformazione personale (2004), Cortina, Milano, 2016.
[15] Id., Sulla via del mito. Conversazioni con Michael Toms (1988), Lindau, Torino, 2017.
[16] Cfr. A. De Benoist, Come si può essere pagani? (1981), Basaia Editore, Roma, 1984.
[17] Cfr. M. Veneziani, Di padre in figlio: elogio della tradizione, Laterza, Roma-Bari, 2002.
[18] Cfr. A. De Benoist, op. cit., pp. 13-18.
[19] Ivi, pp. 31-41.
[20] Ivi, pp. 52-58.
[21] Ivi, pp. 59-70.
[22] Ivi, pp. 89-101.
[23] Ivi, pp.102-111.
[24] Ivi, pp. 112-141; p. 219 e ss.
[25] Ivi, pp. 142-146.
[26] Ivi, p. 128 e ss.
[27] Ivi, pp. 147-170.
[28] Ivi, p. 196 e ss.
[29] Cfr. M. Augé, Genio del paganesimo (1982), Bollati Boringhieri, Torino, 2002.
[30] Ivi, p. 69.
[31] Ivi, p. 98.
[32] Ivi, pp. 61-81.
[33] Ivi, pp. 103-137.
[34] Ivi, pp. 138-167.
[35] Ivi, p. 167.
[36] Ivi, p. 168 e ss.
[37] Ivi, p. 199.
[38] Ivi, pp. 199-243.
[39] Ibidem.
[40] Ivi, pp. 264-285.
[41] Cfr. I. Illich, Pervertimento del cristianesimo. Conversazioni con David Cayley, Quodlibet, Macerata, 2008.
[42] Cfr. M. Scheler, Il risentimento nell’edificazione delle morali (1912), Vita e Pensiero, Milano, 1975.
[43] Cfr. J.-F. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere (1979), Feltrinelli, Milano, 2014.
[44] Cfr. G. Vattimo, Credere di credere, Garzanti, Milano, 1996.
Más info en https://ift.tt/0XkKsJl / Tfno. & WA 607725547 Centro MENADEL (Frasco Martín) Psicología Clínica y Tradicional en Mijas. #Menadel #Psicología #Clínica #Tradicional #MijasPueblo
*No suscribimos necesariamente las opiniones o artículos aquí compartidos. No todo es lo que parece.
No hay comentarios:
Publicar un comentario