Psicología

Centro MENADEL PSICOLOGÍA Clínica y Tradicional

Psicoterapia Clínica cognitivo-conductual (una revisión vital, herramientas para el cambio y ayuda en la toma de consciencia de los mecanismos de nuestro ego) y Tradicional (una aproximación a la Espiritualidad desde una concepción de la psicología que contempla al ser humano en su visión ternaria Tradicional: cuerpo, alma y Espíritu).

“La psicología tradicional y sagrada da por establecido que la vida es un medio hacia un fin más allá de sí misma, no que haya de ser vivida a toda costa. La psicología tradicional no se basa en la observación; es una ciencia de la experiencia subjetiva. Su verdad no es del tipo susceptible de demostración estadística; es una verdad que solo puede ser verificada por el contemplativo experto. En otras palabras, su verdad solo puede ser verificada por aquellos que adoptan el procedimiento prescrito por sus proponedores, y que se llama una ‘Vía’.” (Ananda K Coomaraswamy)

La Psicoterapia es un proceso de superación que, a través de la observación, análisis, control y transformación del pensamiento y modificación de hábitos de conducta te ayudará a vencer:

Depresión / Melancolía
Neurosis - Estrés
Ansiedad / Angustia
Miedos / Fobias
Adicciones / Dependencias (Drogas, Juego, Sexo...)
Obsesiones Problemas Familiares y de Pareja e Hijos
Trastornos de Personalidad...

La Psicología no trata únicamente patologías. ¿Qué sentido tiene mi vida?: el Autoconocimiento, el desarrollo interior es una necesidad de interés creciente en una sociedad de prisas, consumo compulsivo, incertidumbre, soledad y vacío. Conocerte a Ti mismo como clave para encontrar la verdadera felicidad.

Estudio de las estructuras subyacentes de Personalidad
Técnicas de Relajación
Visualización Creativa
Concentración
Cambio de Hábitos
Desbloqueo Emocional
Exploración de la Consciencia

Desde la Psicología Cognitivo-Conductual hasta la Psicología Tradicional, adaptándonos a la naturaleza, necesidades y condiciones de nuestros pacientes desde 1992.

domingo, 14 de diciembre de 2025

Invicto Soli


Invicto Soli

Il presente scritto costituisce il primo capitolo di un singolare libro di un altrettanto singolare personaggio: L’Unità della Natura, uscito nel 1933 per la Biblioteca del Secolo Fascista, autore Evelino Leonardi, medico, scienziato, archeologo ed omeopata, nato a Gubbio, dove lo spirito di San Francesco aleggia sui luoghi e le persone, ed impegnato nella rivitalizzazione della “tradizione italica”. Stimato da D’Annunzio, che lo ospitò a Gardone, amico dell’artista siciliano Ruggero Musmeci Ferrari Bravo (autore, con lo pseudonimo Ignis, del dramma Rumon – Romae Sacrae origines); nonché sodale di Arturo Reghini e di Amedeo Armentano, con cui condivise per un lungo tratto il lavoro interiore, Leonardi – autore anche di uno studio su “Che cosa è il Fascio Littorio?” – partecipò ad alcune iniziative evoliane, come La Torre (I problemi delle origini, sul n. 10), ed il “Gruppo di Ur”, almeno con un contributo firmato Primo Sole: La virtù dei nomi e il simbolismo anatomico (Ur, II, n. 7-8, 1928). Fabrizio Giorgio ipotizza (su Studi Evoliani 2016) che Leonardi avrebbe suggerito ad Evola il nome da dare al Gruppo (“Ur”) da lui guidato nel lavoro pratico e teorico. E, rimanendo sul piano delle ipotesi (ardite), non sarebbe nemmeno da escludere che egli possa essere stato molto vicino a “colui” che celò la propria identità dietro lo pseudonimo Ekatlos..

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In questi ultimi tempi, il Sole è tornato di moda!

E come siamo in un periodo di cui la caratteristica principale è l’utilitarismo, così gli uomini si volgono a lui per chiedergli di raddrizzare le ossa ai bambini rachitici o di dare i globuli rossi alle ragazze dismenorroiche!

Coi concetti meccanici predominanti, il Sole non è altro che un grande serbatoio di energia da cui si potrebbe trarre chi sa quanti cavalli di forza per correre un po’ più col treno o con l’automobile, o per azionare un grande opificio di tacchi per le scarpe.

Più in là non si va! Ed è già molto se alcuni uomini fra i migliori, salutino l’aurora quando scioglie i veli con le rosee dita sul cielo di rame o sentano nel cuore la malinconia nostalgica dell’ora del tramonto!

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Per quei barbari (sic) dei nostri antichi invece, la eliolatria non solo era conforme alle loro dottrine scientifiche, ma anche alle tendenze politiche dell’epoca.

Presso i Romani, l’adorazione verso il Sole si fondeva con quella verso l’Imperatore, perché i Cesari discendevano dal Sole.

È ancora persistente il ricordo lontano dei grandi Sacerdoti-Re, di quella prima razza solare che, senza farla venire dall’Oriente, possiamo benissimo ricercarla sui nostri lidi tirrenici, come speriamo di poter dimostrare a suo tempo.

Al dio tutelare, Aureliano consacrò presso la via Flaminia un edificio colossale. Il Sole invincibile, diventa l’Imperatore Invitto che ne è la diretta emanazione. Come il Sole domina in cielo, così l’Imperatore domina in terra, con la Monarchia Universale.

Macrobio nei suoi Saturnali dice che tutte le divinità conducono a un solo
Essere Supremo
, considerato sotto diversi aspetti e nominato con nomi molteplici. I quali sono tutti equivalenti a Elios o Elos che rovesciato, diventa Sole.

Da una radice Sur che significa splendere, si ha in sanscrito Suria che significa Sole. E abbiamo nel nostro Soratte (Catone diceva Sauracte) il Monte del Sole, sacrum Phoebo Soracte, come dice Silio: e a Terracina, il tempio ad An-Sur il non spento, l’inestinguibile, il Sole.

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Le testimonianze più dirette e più complete del Culto del Sole, sono quelle che ritroviamo nei misteri di Mytra.

Era costume figurarlo tra due fanciulli che erano la doppia incarnazione di lui stesso: cioè l’astro di cui il gallo annuncia la venuta mattutina, che dopo essere passato trionfante sul cielo a mezzogiorno, sparisce lentamente verso il tramonto. Si appresta cioè a ritornare fanciullo, come fa l’uomo vecchio vicino a morire. Le tre fasi principali dell’astro solare sono riportate alle tre fasi principali della vita umana e, in senso astronomico, l’analogia è ancora conservata. Perché il Sole entra nella costellazione del Toro in primavera, cresce in ardore nel cuore dell’estate, e attraverso lo Scorpione diminuisce incominciando l’inverno. Mytra si faceva nascere da una roccia e si chiamava il Dio sortito dalla pietra.

Due pastori avevano osservato staccarsi dalla massa rocciosa una forma umana, che portava una torcia che illuminava le tenebre.

Allora, adorando il Divino Fanciullo, i pastori erano venuti a offrire le primizie dei loro greggi e dei loro raccolti.

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È naturale che come il Sole era il centro dell’osservazione dei sapienti, così dovesse essere il centro della venerazione degli uomini in un culto ragionevole e scientifico che accordava un posto predominante all’astro da cui dipende l’esistenza del nostro globo. I corpi celesti presso gli antichi erano stati sempre riguardati come esseri animati e divini. Lo stoicismo apportò nuovi argomenti in favore di questa opinione, mentre il pitagorismo e il neoplatonismo insistevano sul carattere sacro della luce che crea l’immagine presente del Dio intelligibile.

Le speculazioni filosofiche dei greci, dovevano risalire alla dogmatica speciale che ha per primi autori sacerdoti antichissimi, ai quali è conservato per noi il nome di Kaldei.

Per essi, il Sole occupa il quarto rango nella serie dei pianeti, posto in mezzo ad essi come un Re circondato dai sudditi principali (Basileus Elios). Regola il corso degli astri erranti e il suo globo incandescente, dotato di un potere alternativo di attrazione e repulsione, determina la marcia degli altri corpi Siderei.

Egli è dunque il Cuore del Mondo.

Questa teoria meccanica ha come un presentimento della gravitazione universale in un sistema eliocentrico che faceva del Sole la fonte della vita sulla terra. E il potere alternativo di attrazione e repulsione, corrisponde perfettamente a una sistole e a una diastole undecennale dei campi elettromagnetici delle macchie solari. Plinio chiamò il sole principale naturae regimen ac numen. Il Sole, luce intelligente, deve considerarsi come la ragione direttiva del mondo, mens mundi et temperantia (Cicerone). E per conseguenza questa ragione universale diventerà la creatrice della ragione umana, scintilla distaccata dai fuochi cosmici.

Come l’astro brillante conduce intorno a sé i pianeti, così muove gli uomini nel loro cammino sulla terra; e come manda al nascimento le anime nei corpi, così, dopo la morte, le richiama nel suo seno.

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Quando l’uomo vuol conoscere il lontano passato, non può risalire indietro nel tempo oltre un certo limite prestabilito dalle leggi matematiche del ritmo solare: il quale, in cerchio più stretto, è quello stesso che regola la vita di ogni singolo individuo.

Così che la storia non può arrivare mai al di là di cinque o sei periodi che si dicono civiltà per una certa loro fisionomia predominante, che si confonde per altro ai margini, fra il periodo che tramonta e quello che sorge.

Venendo a mancare a un certo punto qualsiasi testimonianza e documentazione perché, come dice Sofocle: «ogni lungo e immemorabile tempo produce le cose oscure e nasconde quelle manifeste», quando vogliamo penetrare il profondo misticismo religioso degli antichi verso il Sole, quest’anima collettiva non ci può essere rivelata che dall’indagine di qualche fatto caratteristico. E infatti, tre fasi tipiche, separate da secoli, concordano su piani diversi, nell’adorazione pel Sole e sono personificate da tre uomini eccezionali che, pur avendo vissuto in condizioni di tempo e di luogo completamente diverse, furono presi, rispetto al Sole, da uno stesso movimento spirituale profondo e intenso, identico perfino nelle espressioni verbali della loro venerazione.

Il misterioso Re Egizio Akenaton, il grande Imperatore romano Flavio Giuliano e l’umile fraticello d’Assisi, ebbero una stessa visione del mondo, espressa in modi di pensiero e di azione che possono parere diversi solo per la diversità delle condizioni esteriori.

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Al Messico come al Perù, in Egitto come in Grecia, si ritrovano simboli solari con somiglianze così sorprendenti da far pensare a una lontanissima origine comune, forse nella misteriosa e inarrivabile Atlantide.

La Eliopoli d’Egitto, la città del Sole, aveva viali di obelischi, dischi solari di oro puro, templi trapezoidali come quelli messicani e peruviani. Il culto del sole era il più antico dei culti egiziani: e dal manoscritto di Torino si apprende che al Sole era associata una lunga tradizione confusa ma tenace di rivolte, di incendi, di cataclismi. Dei quali, la mitologia ci ha conservato l’avventura di Fetonte, figlio del Sole, che volendo guidare, inesperto, il carro del padre avvicinatosi troppo alla terra, provocò un periodo di cataclismi disastrosi.

Ora, Akenaton, un Faraone unico nella storia d’Egitto, figlio di Amenophis III e di una principessa berbera dagli occhi celesti e dai capelli biondi, volle ristabilire il puro culto del dio solare Aton e restaurare il ritorno a usi e costumi antichissimi, di origine atlantica.

Il suo tentativo fallì di fronte alla onnipotenza dei collegi sacerdotali, quando il Faraone volle lasciare l’antica capitale Tebe per costruirne una nuova dedicata al Sole.

Salutava il Sole nascente con una processione sacra, cui partecipava tutta la Corte, e dalle alte terrazze alzando le mani gridava: «Abbiate timore del Signore!». Lasciò un inno al Sole che noi leggiamo tradotto da una lingua lontana, fonicamente diversa dalla nostra. Ma la parola risuona in ritmo col proprio tempo.

Il linguaggio è la veste sonora che il rombante telaio del tempo tesse all’Eterno (Goethe): e quindi le nostre stesse parole di oggi hanno un ritmo di risonanza con la nostra anima, nel solo momento in cui vengono pronunciate.

Poi il tempo corre veloce e con esso la nostra anima: oggi non è ieri e non sarà domani.

Tuttavia, quando le parole sono intonate al vasto ritmo solare che si ripete periodicamente, esse possono ritornare nel loro ambiente a distanza di secoli, anche se intanto esteriormente gli aspetti delle cose sono completamente cambiati.

Ecco la magia di certe parole che risuonano vastamente in eterno come speranze e verità che la tradizione, anche non sussidiata da grafici e da glosse, risuscita ogni tanto nei cuori degli uomini.

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Quando sorgi all’orizzonte

riempi la terra della tua bellezza.

I tuoi raggi baciano le creature

tutti i viventi conquidi

e li stringi in un vincolo d’amore.

Tu sorgi e la terra s’illumina.

Mandi i tuoi raggi e la tenebra fugge.

Gli uomini si alzano,

stendono le mani e pregano.

Ogni animale si pasce al prato

ogni pianta verdeggia nei campi.

Gli uccelli volano sopra il nido

alzando le ali come braccia supplicanti.

Gira ogni moscerino

Ogni agnellino saltella.

Della tua vita s’animano o Signore.

I pesci danzano nell’acqua

i tuoi raggi vanno nel cuore del mare.

Tu formi il germe nel corpo della sposa.

Tu crei il seme nel corpo del marito.

Hai creato la terra secondo il tuo cuore

quando nessuna cosa esisteva nell’eternità

tutto ciò che cammina coi piedi in terra

e che vola con l’ali nell’aria.

Hai fatto i lontani cieli

per contemplare da essi il tuo creato.

Vieni, te ne vai, ritorni!

Da te solo crei, da te, Unico.

È la vita il tuo sorgere,

è la morte il tuo tramonto.

Tu sei, Padre, nel mio cuore

e nessuno ti conosce.

Ti conosco io solo, tuo figlio.

Così cantò Akenaton, Gioia del Sole.

*   *   *

In una fulgida aurora del giugno 363 di Cristo, nel piano di Maranga in Persia si spegnava sotto la tenda, l’imperatore Flavio Giuliano, a soli 32 anni. E della sua mirabile morte scrisse Libanio: «La scena era simile a quella della prigione di Socrate. I presenti parevano i discepoli che avevano circondato il Maestro. La ferita sostituiva il veleno. Eguali le parole, eguale l’impassibilità di Socrate e quella di Giuliano dinanzi alla morte.

Ferito sul campo da una freccia conficcatasi nella parte inferiore del torace destro, dopo essersi tolta da sé l’arma micidiale, chiamati intorno i generali e gli amici: «Già da tempo – disse – né mi vergogno di confessarlo, io sapevo, per via di una predizione, che mio destino era perire di ferro. Perciò ringrazio l’eterno Iddio che mi fa morire non di tradimento, non dopo le sofferenze di una lunga malattia, non per mano del carnefice, ma con questo fulgido trapasso, nella pienezza di una carriera gloriosa. La mia ora è venuta o compagni, forse troppo presto, ma da buon debitore, io sono lieto di rendere la mia vita alla Natura».

E agli amici piangenti ricordò il suo inno al Sole: «Dio Sole, Re dell’Universo: tu provieni dalle sostanze generatrici del bene. Brilli dall’eternità nel mezzo del cielo e lo riempi di tanti numi, quanti ne comprendi nella tua intelligenza. In virtù della tua continuità generativa e della potenza benefica emanata dal tuo corpo circolare, armonizzi la compagine di questa sede sub-lunare, prendendo cura di tutta la schiatta umana e in special modo di questo nostro Impero. Ancora una volta io supplico il Sole, Re del Tutto, per la devozione mia di essermi benevolo, di darmi una vita felice, un pensiero sicuro e, infine, al momento destinato, una liberazione tranquilla dalla vita.

Mi conceda Egli di ascendere e di restare presso di lui, possibilmente in eterno. E se ciò fosse superiore ai miei meriti, almeno per molti periodi di anni numerosi».

L’alba intanto montava sul cielo infocato di Persia. A uno a uno cantarono i galli degl’indovini etruschi al seguito dell’Imperatore. «Gioite uomini – mormorò Giuliano. – La morte è… il Sole. Oh! Elios prendimi: io sono come te!».

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Il 3 ottobre 1226 nell’umile celletta della Porziuncola, Francesco d’Assisi rendeva lo spirito.

Ma prima di chiudere gli occhi alla luce, anche lui, volle salutare il sole che tramontava, mentre le allodole trillavano sopra la capanna e Jacopo dei Settesoli giungeva da Roma a portare la coltre funebre e la sua tenerezza. E i compagni piangenti intonarono con lui quel canto al Sole in cui Francesco aveva racchiuso il suo simbolo e il suo sentimento.

Laudato sia mio Signore con tutte le tue creature, specialmente per lo frate Sole: il quale giorna et illumina nui per lui: et ello è bello et radiante com grande splendore: de te Signore porta significazione.

Laudato sia mio Signore per suora luna e per le stelle: che in cielo hai formate chiare e belle.

Laudato sia mio Signore per frate vento et per l’aire et nuvole et sereno et ogni tempo: per le quali dai a tutte le creature sostentamento.

Laudato sia mio Signore per suor acqua: la quale molto è utile preciosa et casta.

Laudato sia mio Signore per frate fuoco: per lo quale tu alumini la nocte: et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato sia mio Signore per nostra madre Terra: la quale ne sostenta et governa: et produce diversi fructi et coloriti fiori et herba.

Questo vangelo d’amore predicato da Francesco, aveva sciolto il gelo nell’anima degli uomini. Correnti impetuose e fresche corsero sotto l’azzurro cielo dell’Umbria in nuove visioni di bellezza nei campi dell’arte, della poesia, della pietà umana.

Non era trascorso un secolo dalla morte di Francesco, che già Dante vedeva lo spirito glorioso di lui in quella radiante sfera Solare che Giuliano invocava per sé nello slancio della sua devozione.

Dai conventi sperduti fra i monti della verde Umbria, le mistiche leggende si diffondevano come un profumo soave, come un balsamo per il dolore diuturno della vita.

I sussurri degli ulivi agli zeffiri, le fresche acque cadenti, i colori dei fiori danzanti alla luce solare, i fuochi sparsi nelle campagne per la oscura notte, parlavano di nuovo ai cuori degli uomini, rilevando le bellezze del creato e l’essenza etica dell’universo. E sulle orme del dolce Maestro, Jacopone da Todi correndo con passione mistica il paese umbro, fra tanto sorriso di cielo e di terra, cantava con cantilena di stornello:

Voglio invitar tutto il mondo ad amare

Le valli e i monti e le genti a cantare

L’abisso e i cieli e tutte l’acque del mare

Che faccian versi davanti al mio amore.

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Può qualche mente estenuata e superficiale attribuire a inconsapevole panteismo ciò che è vincolo d’amore pel mezzo delle creature fra l’uomo e Dio e che non può non tradursi in giocondità e serenità di spirito nella contemplazione delle cose naturali.

«Il transito da un ordine all’altro nella vita dello spirito, non costituisce affatto una variazione della fede – dice Gioacchino da Fiore – perché là dove una perfezione universale succede ad una perfezione particolare, non ci può essere rammarico, né lotta, né resistenza».

Non esiste quindi alcuna irriverenza nel paragone fra tre uomini così diversi e così lontani fra loro.

I grandi maestri vivono immortali appunto perché il martirio della loro anima lento e macerante è costretto o sepolto dalle contingenze esteriori delle cose e delle incomprensioni dei contemporanei.

Un altro grande – Wolfango Goethe – al momento supremo, rese omaggio al Sole con due sole parole: «Più luce».

Perché è legge generale che l’ultimo bisogno del morente sia la luce, che è la trama su cui s’intesse la Vita.

Evelino Leonardi

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