In continuità con le recenti riflessioni su “la cultura di destra” pubblicate in questo sito, si è deciso di riproporre questa intervista rilasciata dallo scrittore Fausto Gianfranceschi nel lontano 1983 alla rivista LETTERATURA, diretta da Sandro Giovannini per le Edizioni Casa della Poesia. Gianfranceschi, dopo una iniziale adesione alle idee espresse da Evola, di cui scrisse: «Nella misura in cui i suoi libri smascheravano i veri tabù della nostra epoca, egli sentiva crescere intorno a sé il silenzio della cultura ufficiale, un silenzio che significa soprattutto solitudine; e tuttavia non ha mai fatto nulla, assolutamente nulla, per incrinare questa congiura e per ottenere anche in minima parte il riconoscimento che il valore della sua opera merita.» – venendo all’epoca Gianfranceschi anche coinvolto nel processo contro i FAR – si distaccò, in seguito, dal magistero evoliano, per seguire un suo personale percorso artistico e letterario, che lo portò, fra l’altro, a dirigere la terza pagina del quotidiano Il Tempo, nonché la rivista Intervento.
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D. – Nell’era del «riflusso» esiste ancora la calcolata follia dell’«impegno»?
Gianfranceschi – Mi sembra indispensabile. Il cosiddetto «privato» con i suoi sottofondi ludici non è altro che l’errore speculare dell’impegno sbagliato. I falsi maestri hanno semplicemente cambiato tavolo, ma il gioco (riduttivo e banalizzante) è quello vecchio. L’impegno spirituale e civile, che conosce le ragioni della persona, appartiene a un’altra dimensione, dove è degno vivere.
D. – Cosa è stato per Lei più stimolante in questo ’83, il desiderio del successo, la misura stilistica, la riflessione sulla spinta creativa od una «progettualità» culturale e civile?
G. – Ho avvertito e avverto ognuno di questi stimoli, ciascuno importante per sé e con gli altri. Tuttavia debbo precisare i limiti del desiderio del successo, che può condurre, anche letterariamente, a conseguenze criminali. Io amo il successo, ma amo di più la verità.
D. – Gli autori ed i libri più importanti degli ultimi tempi.
G. – Ricordo soltanto i due libri che più di recente mi hanno interessato. Di questi tempi i testi buoni sono tali assai relativamente, quindi si dimenticano presto. Ecco i libri che ricordo e che consiglio: Babele di Roger Caillois (Marietti) e Il montaggio di Vladimir Volkoff (Rizzoli).
D. – Quale ebrezza del cuore?
G. – Sento ebrezza e commozione quando sono investito dalla prova che l’avventura terrena non è così banale come ogni giorno ci dicono. Fortunatamente gli incontri sono numerosi: un’opera d’arte, una musica, una persona dotata, un’idea che si accende all’improvviso come una scintilla divina, un bel gesto disinteressato, uno spettacolo miracolosamente risorto dalla lunghissima glaciazione postbellica (vedi Il principe di Homburg di Kleist diretto e interpretato da Lavia). La commozione più recente: in una stupenda sala barocca, un po’ in penombra come per una cerimonia segreta, un concerto «scolastico» (di una media statale, non di un conservatorio) eseguito da ragazzi e ragazze dagli undici ai quattrodici anni che suonavano con il flauto dolce musiche di Mozart, Bach, Beethoven, Haydn. Era come assistere alla nascita miracolosa dell’armonia.
D. – Nella comunicazione massificata c’è posto per un’«aristocrazia letteraria»? E se sì, vuole indicarne un (possibile) profilo?
G. – Mi sembra logico: quanto più la comunicazione è massificata, tanto più lancinante è il bisogno di un’«aristocrazia letteraria». Ma ci sono alcuni problemi: la difficoltà, quasi l’impraticabilità oggi, di questa direzione; quindi scarsità di risultati, e ancora più scarse prospettive di riconoscimenti esterni; il rischio, intanto, di scambiare l’aristocrazia con il mero sperimentalismo e con l’oscurità. Contro questa tentazione del secolo e per un profilo in positivo rimando al libro di Caillois che ho citato.
D. – Un po’ di fanta-letteratura alle soglie del 2000?
G. – Il fantastico auspicio che anche in letteratura si avveri il comandamento di Solgenicyn: «vivere senza menzogna» (difficile come il bacio al lebbroso).
D. – I suoi impegni e progetti di lavoro.
G. – In autunno uscirà, con l’Editoriale Nuova, un romanzo che ho appena finito di rivedere. È una doppia sfida perché amici, critici ed editori sostengono che Gianfranceschi saggista vale di più del romanziere, inoltre è un romanzo satirico, un genere per me completamente nuovo. Io stesso sono ancora perplesso.
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