Riflessioni sparse sulla “poetica allucinogena” del Naked Lunch di William Burroughs, portato sugli schermi cinematografici da David Cronenberg, e sull’idea di “potere” e “liberazione” in Ioan P. Culianu.
di Ezio Albrile
New York, 1953. William (Bill) Lee è uno sterminatore di scarafaggi tossicodipendente da piretro (eroina), cioè dallo stesso veleno usato per sterminare gl’insetti. Anche sua moglie Joan si droga, iniettandosi la stessa sostanza: esperienza da lei affermata come migliore dell’orgasmo. Prelevato da due agenti della narcotici, Bill viene messo a confronto con uno scarafaggio gigante, che parla attraverso uno sfintere anale (della stessa natura cellulare delle labbra) e che sostiene di essere il suo diretto superiore in un’intricata operazione spionistica. Nel frattempo la tossicomania di Bill è diventata seria, per cui gli viene consigliato di recarsi dall’ambiguo dottor Benway, che gli prescrive una cura palliativa a base di «carne nera» (black-flesh = hashish), un narcotico derivato dalla carne del millepiedi brasiliano.
Dopo aver ucciso accidentalmente la moglie giocando al Guglielmo Tell, Bill è reclutato da uno strano personaggio, il Mugwump, una sorta di drago alieno dalle tendenze omosessuali, per una missione nell’Interzona (in realtà Tangeri). Nell’Interzona fa la conoscenza di Tom e Joan Frost (in realtà Paul Bowles & consorte), decadenti scrittori statunitensi che celano un oscuro segreto, e di Yves Cloquet, damerino svizzero gay e mutante che cerca di sedurlo.
Bill diventa un forzato della macchina da scrivere – una Clark-Nova che si trasforma in uno scarafaggio gigante e che sodomizza la Martinelli, la macchina da scrivere di Tom Frost – con cui redige allucinati rapporti per una fantomatica organizzazione, la Interzona Inc. Il senso di realtà progressivamente si dilata su spazi visionari sempre più incomprensibili, sino a giungere alla presunta soluzione di tutti gli enigmi: i rapporti dall’Interzona diventeranno uno dei romanzi più influenti del secolo, mentre si scoprirà che Fadeda, la domestica marocchina di Joan Frost, altro non è che il mefistofelico dottor Benway incaricato di catturare e «mungere» i Mugwump per trarne del latte allucinogeno (LSD).
Poetiche allucinogene
Questa la trama estatica di uno dei capolavori del regista canadese David Cronenberg, Il pasto nudo (The Naked Lunch, Film Trustees Ltd., Canada/U.K. 1991, 115’), tratto dall’opera letteraria di William S. Burroughs, ora riproposta dalle Edizioni Adelphi.
Il taglio della poetica di Burroughs è configurato su di una passione originaria per la gnosi antica, trasmutata in ossessione cosmologica. Consciamente o meno, dietro a tutto ciò alberga la lettura della vicenda umana come incapsulamento in una dimensione aliena, e la riscrittura di una personale demonologia: molti stranissimi animali come Chimera o Sfinge sono legati ai penetrali di Ade rivissuti nell’immagine del Mugwump. All’origine il mito edipico è lo scontro con il Drago primordiale = Sphinx, ontologizzato dalla demonizzazione del matrimonio incestuoso. Una catabasi che riaffiora nella presenza inquietante di Chimera, il mostro tricorporeo effige ‒ come il Gerione gnostico ‒ dei tre mondi, somatico-psichico-fotico: dal corpo di Chimera emerge un testa caprina tutta fiamme: il tempo che tutto divora nel regno psichico, pericoloso amalgama di sarx e pneuma, di «carne» e «luce», la «carne nera» che permette a Bill di «scalciare», cioè di uscire dalla dipendenza attraverso un’altra dipendenza.
Paradossalmente i regni puri stanno agli opposti, la «magia degli estremi» è il ritorno ad una condizione originaria; anche la materia nella sua sconfinata finitudine è «pura», immota, attende il mescolamento con il divenire per trasmutarsi in antagonista. A ben riflettere, il cosmo trasfigurato di Basilide gnostico ha come «residuo» l’ignoranza, i non-salvati dimoreranno nella tenebra inconsciamente, «beati» di non percepire la luce. L’angoscia in fondo è il desiderio dello splendore, maculato e inghiottito dal tempo. Il mondo di Burroughs attende una redenzione che non giungerà mai.
A questo riguardo si possono evocare gli stratagemmi delle vite illusorie; tutti siamo immersi nel saṃsāra e, prima o poi, i flussi mareali nei quali è immerso il principio egoico sommergeranno quanto di vacuo affiora in noi: quando ci si troverà al «ponte del separatore», opera di ingegneria infernale, si dovrà render conto di queste cose. Un pensiero che sin da bambino ci ha resi inquieti. In Burroughs come in Cronenberg il corpo è veicolo dell’estasi: un qualcosa di molto gnostico.
William Burroughs
La molteplice verità
Il caso di Burroughs è interessante e complesso perché egli è un doppio indagatore; da una parte è un tossicomane, e dall’altra un imponente scrittore, cioè è vittima del mito e anche creatore di miti. Ora, si sa che quando uno sente il bisogno di creare i miti, questi miti rappresentano la parte più importante del suo discorso, il discorso segreto che non si può rivelare se non per immagini, sempre stranianti. Ogni volta, per esempio, che Platone vuole dire qualcosa di fondamentale e di più vero che non la mera dialettica così sofistica di Socrate, egli è ricorso al mito. Così anche i limiti assoluti del pensiero di Burroughs li troviamo nell’opera di uno scrittore che utilizza tecniche estreme come il cut-up o il fold-up, oggi diremmo «taglia-incolla», ma al tempo straordinario espediente gnoseologico.
Durante il processo di scrittura, il mondo subisce una crescente solidificazione, al punto che, da completamente fluido, diventa rigido e circoscritto: nessuno, nemmeno Dio stesso, è libero di cambiare le norme fisse del mondo. Ma all’inizio le cose non stanno così, il mago o lo yogin hanno svolto un’indagine secondo metodi segreti e trasmessi per tradizione, al fine di acquisire poteri straordinari. Oggetto e finalità del mago è la propria libertà dai limiti della condizione umana. Lui crede soltanto in ciò che ha acquisito e le sue possibilità dipendono dal grado di realizzazione che ha raggiunto. Burroughs ha distrutto il senso di realtà, stuprato il regno di māyā.
Da un universo antitetico, un altro autore che si prefiggeva di scardinare il piano di realtà è stato Ioan P. Culianu, geniale storico delle religioni, ‘terminato’ in una latrina dell’Università di Chicago. Egli anelava a ridefinire l’idea di «potere» che, al di fuori di ogni precomprensione ideologica, tenesse conto delle basilari componenti etologiche ed ecologiche.
Il potere si presenta essenzialmente come una modificazione di stato interno subita dal singolo o dalla collettività attraverso un’esperienza sensoriale. Per Burroughs – come per gli Gnostici – i vincoli del mondo sono estesi nel linguaggio, nel sesso, nella droga. Legami di potere.
Ioan Petru Culianu
L’orgasmo al potere
Il senso di onnipotenza, di innalzamento della capacità percettiva che si manifesta nelle varie fasi di un rapporto sessuale, per Culianu era «energia psichica» sviluppata dalla trasformazione della libido. Una riflessione che era già presente nelle teorie orgoniche di Wilhelm Reich, discepolo eterodosso di Freud.
Aspetti d’un potere grezzo estrinsecato nel linguaggio, nell’uso di psicoattivi (dall’alcool alle droghe più sofisticate) e nel potenziamento dell’ego generato dalle folle. Qualcosa di diverso – secondo Culianu – del potere esercitato dai personaggi che dominavano la natura e il mondo circostante, perché avevano anzitutto raggiunto il dominio di se stessi attraverso un’esperienza di «morte» e di «rinascita», sul piano simbolico, un’ascesi di sofferenza e di solitudine alfine trionfante, sul piano della prassi concreta.
Tecniche atte a raggiungere il massimo di liberazione potevano così rivelarsi tecniche atte a raggiungere il massimo del potere, su di noi stessi ma anche sugli altri, proprio per l’ascendente psicologico – spesso accompagnato da manifestazione di poteri paranormali – detenuto dallo specialista del sacro. Il discorso sul potere si è dunque venuto stringendo attorno a un nucleo sempre più profondo, che toccava le realtà intime dell’individuo. Ora, Culianu sembrava dire che in fondo tutto è confinato entro il cerchio ristretto delle menti umane, quelle che producono messaggi senza senso e quelle che in essi vi decifrano sensi che pur non ci sono.
Nella storia del cristianesimo e delle sue eresie molti sono stati quelli che hanno negato l’onnipotenza di Dio, anzi una delle correnti più fantastiche della teologia cristiana, il nominalismo, aveva persino dimostrato che tutte le teologie precedenti non avevano effettivamente riconosciuto l’idea dell’onnipotenza di Dio. Ma qui il discorso di Culianu diverge sostanzialmente da quello di Burroughs. Culianu, come i grandi manipolatori di arti magiche, credeva nella realtà paradisiaca del mondo, Burroughs vomitava sul mondo ritenendolo una concrezione allucinata di linguaggio, droga e sesso.
David Cronenberg sul set di Naked Lunch (1991)
Riferimenti bibliografici
William S. Burroughs, tutte le opere in pubblicazione per le Edizioni Adelphi
Ioan P. Culianu, Iocari serio, Lindau, Torino 2018
Stefano X. Ricci, David Cronenberg, Sovera Edizioni, Roma 2012
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