
Chi ha vissuto l’esperienza di organizzazioni comunità e gruppi (anche solo politici), si è imbattuto prima o poi nella singolare figura di chi puntualmente cede e si abbandona alla slealtà, diventando all’improvviso sfuggente infido e insincero: finendo dunque per infilare i piedi dentro le stesse pedate di colui che per primo ha percorso il cammino del disonore e dell’infamia.
Queste “pedate” sono da intendere nel senso di impronte, e quindi in quanto orma, segno inconfondibile, marchio, traccia, caratteristica, peculiarità: quello, cioè, che supera le apparenze superficiali e mostra l’essenza profonda e il vero carattere di qualcosa o di qualcuno. Nel caso specifico, seguendo il medesimo percorso di tradimento defezione e abiura compiuto da Giuda Iscariota, che fra gli Apostoli teneva (casualmente!) la cassa comune, alleggerendola di tanto in tanto con piccoli furti, e la cui avarizia congenita lo indusse a muovere rilievi acrimoniosi e contrari all’insegnamento del Maestro, pretendendo di piegare al suo orizzonte ristretto e limitato le altezze della dottrina evangelica; colui che Dante considera avaro e traditore per eccellenza e definizione: «l’anima ria» che con l’arma del tradimento (la lancia/con la qual giostrò Giuda, Purgatorio, XX 73-74) commise il peggiore dei peccati e il più infamante, meritandosi, quindi, la peggiore delle pene: «”Quell’anima là su c’ha maggior pena”,/disse ‘l maestro, “è Giuda Scarïotto,/che ‘l capo ha dentro e fuor le gambe mena…”» (Inferno, XXXIV 61-63).
Fissatone quindi il disonorevole modello e blasone nel loro Capostipite, è bene scendere da così maligne vette (o – dantescamente – ascendere da tali malvage profondità!), per occuparci di questi ben più miseri e infidi furfantelli, che a causa della legge dei grandi numeri possono trovare accoglienza ed ospitalità presso gruppi seri e ben guidati; trattandosi di personaggi i quali – a causa di una natura bassa e volgare, nonché plebei per costituzione interiore, prima che per condizione sociale – non riescono a dissimulare e tenere a freno a lungo questa loro “impronta”, che li induce a mettere in atto azioni corrosive e dannose per la realtà che li ospita.
Alcuni segni distintivi consistono nel fatto che essi lodano, quando sono presenti, quelli che alle spalle hanno attaccato; riportano fuori e diffondono i difetti e le debolezze di coloro che gli sono al fianco e si confidano con loro, tacendone al contempo i pregi e le virtù; non perdono occasione di seminare zizzania e mettere discordia, coltivando personalissime riserve e infondati pregiudizi, non avendo essi, in fondo, mai veramente aderito all’iniziativa di cui mostrano di far parte; tenendo per giunta “commercio” con avversari e concorrenti del loro gruppo, con la scusa di mantenere buone relazioni diplomatiche, che potrebbero prima o poi rivelarsi utili e fruttuosi; ma, soprattutto, fondando costoro il loro agire solo ed esclusivamente sul sentimento, che è quanto di meno stabile e duraturo possa immaginarsi.
Non per nulla, essi sono soggetti a repentini cambiamenti di umore, al punto che quello che poco prima era apparso come un amore sfegatato si trasforma all’improvviso in odio feroce e incontrollabile; tanto che la loro scheda psicologica dovrebbe essere compilata ricorrendo agli strumenti della psicoanalisi: la peggiore e più devastante delle scienze moderne, ma forse l’unica in grado di spiegarne il patologico narcisismo, l’indole dissolutiva e la continua ricerca di compensazioni d’ogni tipo.
In realtà, esistono gradi diversi di manifestazione di questa patologia, a partire da quelli che sono vittime della “sindrome del capetto”, cioè di chi non sa stare al proprio posto e non è in grado di accettare un’autorità gerarchica differente dalla sua, il cui motto sembra essere: “Se non posso comandare io è meglio che tutto crolli e vada in malora”. Ma se questi aspiranti leader sono, in fondo, facilmente riconoscibili, per il loro pavoneggiarsi e per la loro propensione allo sfruttamento dei militanti, ancor più deleteri risultano coloro che, non avendo il coraggio e la stoffa necessari per ardire alla ribellione, mandano avanti o si nascondono dietro qualcuno più adatto e più capace di loro, che sobillano e in cui insinuano sottilmente il dubbio su vari aspetti dell’organizzazione. Ovviamente giurandogli – per quello che gli costa! – fedeltà eterna, per lo meno fino alla prossima “cospirazione”.
Il caso più grave e il grado massimo di corruzione, tuttavia, viene raggiunto quando non si agisce più sul semplice piano fisico e materiale, ma si ricorre alle armi sottili del peggiore psichismo. A tal proposito René Guénon, in una lettera a Julius Evola del 28 febbraio del 1948, ipotizzando un intervento malefico dietro la lesione da questi subita a Vienna, riporta un episodio da lui vissuto in prima persona: «Quel che è singolare a questo proposito, è che ci sono delle cose in quel che mi dite che mi richiamano alla mente quanto ni è successo nel 1939 (credo che l’abbiate saputo all’epoca), quando sono rimasto per sei mesi steso a letto senza potermi girare né fare alcun movimento. Per tutti quanti si trattava di una crisi reumatica, ma in realtà si trattava di ben altra cosa, ed avevamo saputo benissimo chi inconsciamente faceva da veicolo all’influenza malefica (era la seconda volta che si verificava, ma in precedenza, due anni prima, era stata una cosa meno grave); si presero delle misure per fare allontanare la persona e affinché non potesse più tornare in Egitto, e, da allora, niente di simile si è più verificato».
Inutile dire che tali elementi è meglio perderli che trovarli, anche perché mai nulla di buono potrà derivarne. Si potrebbe addirittura ipotizzare che là dove non si verificano uscite e perdite di questo tipo, forse non si sta procedendo nel modo giusto e nella maniera più efficace. Neutralizzarli ed allontanarli, comunque, è l’unica cosa da fare, immediatamente e senza esitazione, mettendo da parte ogni sentimentalismo residuale, non indulgendo in rimpianti vani e in inutili, illusori tentativi di salvaguardare almeno il rapporto di amicizia. In realtà, quando l’amicizia si è fortificata e trasformata in un fuoco ideale, nella condivisione di un cammino comune, non può più essere degradata o retrocessa, continuando a viverla in dimensioni inferiori e in ambito emotivo.
Quasi sempre a questo punto (come possiamo personalmente testimoniare), chi viene bandito e allontanato da una Comunità di cui in precedenza faceva parte – forse per buon senso o per istinto di conservazione – tende a sparire dalla circolazione e a non occuparsi più di cose per le quali si è mostrato inadatto, se non indegno. C’è tuttavia una legge naturale del mondo sottile e invisibile che, se da un lato, lasciati aperti i canali di comunicazione, i tubi psichici sentimentali consentono all’odio ed al rancore reciproco di confrontarsi, infettare e mantenere un’efficacia “contundente”; dall’altro produce, una volta che si sono chiusi tali canali, non solo una immunizzazione permanente e definitiva, ma anche un oggettivo processo di alleggerimento e mitigazione, che genera immancabilmente dei frutti e dei risultati positivi (al pari dei sacramenti religiosi), migliorando lo sviluppo di chi si è mantenuto fedele, e accrescendo l’efficacia dell’azione del gruppo o della comunità interessati.
È come quando una mongolfiera si libera dell’inutile zavorra, volando più in alto e più leggera.
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