Psicología

Centro MENADEL PSICOLOGÍA Clínica y Tradicional

Psicoterapia Clínica cognitivo-conductual (una revisión vital, herramientas para el cambio y ayuda en la toma de consciencia de los mecanismos de nuestro ego) y Tradicional (una aproximación a la Espiritualidad desde una concepción de la psicología que contempla al ser humano en su visión ternaria Tradicional: cuerpo, alma y Espíritu).

“La psicología tradicional y sagrada da por establecido que la vida es un medio hacia un fin más allá de sí misma, no que haya de ser vivida a toda costa. La psicología tradicional no se basa en la observación; es una ciencia de la experiencia subjetiva. Su verdad no es del tipo susceptible de demostración estadística; es una verdad que solo puede ser verificada por el contemplativo experto. En otras palabras, su verdad solo puede ser verificada por aquellos que adoptan el procedimiento prescrito por sus proponedores, y que se llama una ‘Vía’.” (Ananda K Coomaraswamy)

La Psicoterapia es un proceso de superación que, a través de la observación, análisis, control y transformación del pensamiento y modificación de hábitos de conducta te ayudará a vencer:

Depresión / Melancolía
Neurosis - Estrés
Ansiedad / Angustia
Miedos / Fobias
Adicciones / Dependencias (Drogas, Juego, Sexo...)
Obsesiones Problemas Familiares y de Pareja e Hijos
Trastornos de Personalidad...

La Psicología no trata únicamente patologías. ¿Qué sentido tiene mi vida?: el Autoconocimiento, el desarrollo interior es una necesidad de interés creciente en una sociedad de prisas, consumo compulsivo, incertidumbre, soledad y vacío. Conocerte a Ti mismo como clave para encontrar la verdadera felicidad.

Estudio de las estructuras subyacentes de Personalidad
Técnicas de Relajación
Visualización Creativa
Concentración
Cambio de Hábitos
Desbloqueo Emocional
Exploración de la Consciencia

Desde la Psicología Cognitivo-Conductual hasta la Psicología Tradicional, adaptándonos a la naturaleza, necesidades y condiciones de nuestros pacientes desde 1992.

domingo, 17 de septiembre de 2023

L’anima (vera) d’Europa e il distacco dal mondo moderno


L’anima (vera) d’Europa e il distacco dal mondo moderno

 

Siccome non si fa altro che parlare di Europa, diventata sinonimo di afflizione e sofferenza per la maggioranza dei suoi abitanti, non sarà inutile gettare un breve sguardo sulla relativa evocazione delle sue presunte radici “giudaico-cristiane”; ripetuta con un automatismo che, evidentemente, intende escludere ogni altro riferimento spirituale storico e culturale dalle sue fondamenta. Ma cos’è rimasto di veramente cristiano in quest’Europa in balia dei capricci e degli arbìtri antiumani di una “Commissione” che, già nel nome, fa pensare a organigrammi di tipo mafioso?

Essendo le acque che sgorgano in prossimità della sorgente le più pure e le meno inquinate, forse un apporto positivo potrebbe giungerci dal mondo classico greco e dall’antica romanità, i cui miti hanno proprio oggi tanto da dirci sulla decadenza attuale e, soprattutto, sul carattere titanico della civiltà contemporanea. Questi ci narrano che nell’Età dell’Oro, l’epoca in cui si colloca l’inizio della presente umanità, prima che avvenisse la separazione fra gli dei e gli uomini, immortali e mortali vivevano in prossimità gli uni agli altri; finché non ebbero inizio le dispute, le punizioni e i contrasti fra gli olimpici e gli umani, imboccando l’inarrestabile discesa ciclica.

All’inizio il genere umano fu composto esclusivamente da maschi, un chiaro riferimento allo stato androginico, segno di completezza e di unità, in cui gli elementi complementari anziché opporsi erano in perfetto equilibrio. Una stirpe di uomini, con cui era collegata la stirpe titanica di Giapeto e, innanzitutto, di due suoi figli: Prometeo (il “preveggente”, il “provvido”, ma anche “dal pensiero tortuoso”) ed Epimeteo (“colui che impara solo dopo”, “l’imprudente”), inseparabili l’uno dall’altro. Un essere doppio (tema ricorrente nel simbolismo tradizionale), fiancheggiato, come una sua mano sinistra (meno pronta ad agire!), da un compagno meno astuto. Urano li denominò in modo oltraggioso “Titani”, comprendendo nel loro nome l’idea di “tendersi” e di “punizione”: essi, nella loro temerarietà, si erano “tesi” (spinti) per compiere una grande opera e perciò furono puniti.

La storia del genere umano è quindi introdotta da questi malfattori puniti. Un altro figli di Giapeto fu il duro Atlante, condannato a reggere le colonne che separavano cielo e terra al margine occidentale del mondo, fratello di Prometeo, che, invece, scontava la sua pena al margine orientale, nell’attuale Caucaso. Per cui i due titani segnavano, coi rispettivi supplizi, i confini del mondo antico: la forza bruta e materiale di Atlante da una parte (l’Occidente, destinato ad estremizzare nel tempo tale “indole”), contro la furbizia e l’ingegno di Prometeo dall’altra (l’Oriente).

Quando arrivò il tempo della nascita degli uomini, gli dei ordinarono ai due fratelli di ornare quegli esseri e di distribuire tra di loro le capacità spettanti ad ognuno. Epimeteo ottenne di occuparsi della distribuzione di tali beni, che imprudentemente dilapidò tra gli animali, lasciando l’uomo indifeso e nudo. Per cui Prometeo, pensando di rimediare all’errore del fratello, rubò il fuoco e le arti di Efesto e di Pallade Atena dal loro tempio,  per regalarli al genere umano. L’uomo acquistò la capacità di vivere, ma Prometeo subì la sua condanna.

L’irato Zeus preparò immediatamente un male per gli uomini, per ricambiarli di aver avuto il fuoco, facendo costruire ad Efesto con la terra l’immagine di una pudica fanciulla. La dea Atena la ornò di una cintura e di splendide vesti bianche, posò sul capo della fanciulla un artistico velo, attaccò ad entrambi i lati ghirlande splendenti di fiori e posò sul velo una corona d’oro che l’artefice, come particolare omaggio a Zeus, aveva preparato con le proprie mani. Tutta l’opera irradiava fascino amoroso, e il bel male, come contrappeso del bene, fu pronto, per cui Zeus la condusse nel luogo dove gli dei e gli uomini si riunivano, lasciandoli stupiti di quella pericolosa insidia. «Figlio di Giapeto, tu che sai più di tutti gli altri, tu ti rallegravi di aver rubato il fuoco e di avermi ingannato; ma ciò sarà a danno tuo e degli uomini futuri. Essi infatti riceveranno da me, in cambio del fuoco, un male di cui gioiranno, circondando d’amore ciò che costituirà la loro disgrazia». La fanciulla venne chiamata Pandora (“ricca di doni”, “che dona tutto”), destinata ad aprire il famoso vaso di tutti i mali (la vecchiaia, la fatica, la malattia, la pazzia, il vizio e la passione) che, per causa sua, vennero riversati nel mondo.

E fu proprio l’acqua, simbolicamente associata alla donna, la punizione per il furto del fuoco; con lo stolto Epimeteo cui viene fatto dono da parte degli dei della donna, in cui troverà diletto, costringendolo ad amare la propria sventura. Ovviamente, va sempre tenuta presente l’ambivalenza e la duplicità dei simboli; ed anche se non si può ignorare il fondamentale ruolo svolta dalla donna in fatto di sentimento desiderio attaccamento e dipendenza, probabilmente il più forte e insuperabile per ogni uomo che ne è vittima, rimane valido tutto quello che – nell’altro suo significato – essa apporta nella vita dell’uomo come grazia e bellezza, qualità della vita e solidità famigliare, crescita ed educazione dei figli, sensibilità e capacità intuitiva. Tuttavia, da allora in avanti, dinanzi agli dei spettatori ridenti, la stirpe degli uomini nel rapporto con la donna (autentica “croce e delizia”!) recita la sua eterna, ridicola commedia umana e la sua misera tragedia titanica. Come ce lo ha brillantemente rappresentato un grande figlio ed erede della Magna Grecia come Luigi Pirandello.

Ovviamente, per l’Illuminismo e per gli insubordinati e agitatori di tutti i tempi Prometeo è divenuto il simbolo della vittoria dell’ingegno su tutte le forze ostili al “progresso umano”. Così come ci narra Eschilo nel suo Prometeo incatenato, dove alla domanda: «Hanno la fiamma viva i morituri?», il protagonista risponde: «E molte arti da essa impareranno»; e ad Oceano che gli rimprovera: «Tu non sai farti piccolo; e di fronte ai mali non cedi, no, ne aggiungi», Prometeo si vanta di aver trasmesso agli uomini ogni conoscenza: «Questo io feci. E chi prima di me/scoprì i doni nascosti nella terra,/il bronzo, il ferro, l’argento, l’oro?/Nessuno, lo so bene, a dire onesto,/Sappilo in breve: tutto ciò che gli uomini/conoscono, proviene da Prometeo».

Dopo la liberazione dalla sua pena, grazie all’intervento di Eracle (eroe che, diversamente dal titano, opera secondo la Norma e in accordo con gli dei dell’Olimpo), Prometeo continuò a portare un anello di ferro in cui era incastrato un pezzo di pietra, a ricordo del supplizio e della sua appartenenza ai Cabiri, lavoratori del ferro; i quali erano a conoscenza delle corrispondenze esistenti fra i metalli e i pianeti e, di conseguenza, del loro uso rituale e benefico (conoscenza alla base della stessa Alchimia). La metallurgia, come ci ricorda Guénon, è arte direttamente legata alla “solidificazione”, che raggiunge nel minerale il suo grado di manifestazione più elevato, con una significativa successione nel tipo di costruzione delle città e dei suoi edifici, che dal vegetale (legno) passa alla pietra, per poi giungere all’uso preminente dei metalli e minerali (di cui la plastica è un diretto derivato) negli edifici, nei manufatti e nell’industria bellica delle civiltà di fine ciclo. E la metallurgia conserva un duplice significato simbolico: “sacro” ed “esecrato”, anche in virtù della collocazione sotterranea delle miniere e dei giacimenti minerali; essendo, fra l’altro, la fonte di ogni inquinamento ambientale e di contraffazione della natura. I guardiani dei tesori nascosti, i fabbri che lavorano nel “fuoco sotterraneo”, sono sempre stati rappresentati nelle leggende come giganti o come nani. Quindi qualcosa di estraneo allo stato umano. Sono, del resto, note le interdizioni a portare addosso oggetti metallici durante il compimento di certi riti, sia religiosi sia iniziatici.

Contrariamente alla originaria esigenza e volontà degli uomini di “stare” vicini e vivere insieme e in armonia con gli dei, proprie delle civiltà tradizionali, nel mondo moderno è subentrata la ricerca del basso, del degradarsi, della rincorsa di forme d’esistenza oscure e tragiche. Piuttosto che frequentare le divinità, si è preferito abbandonarsi ai propri demoni interiori, che prosperano nelle dipendenze e nel trionfo delle passioni; non a caso manipolate dalla psicanalisi, la cui componente pratica e “operativa” l’ha resa particolarmente devastante e pericolosa. Il trattamento di elementi del mondo sottile compiuta in assenza di ogni difesa “rituale” – presente, invece, nei miti e nelle fiabe tradizionali – rappresenta il vero e proprio marchio satanico di tale scienza moderna. Gli stati “profondi” dell’inconscio evocati dalla psicanalisi non sono altro che gli stati “inferiori” della psiche umana, e la loro ricerca ed evocazione va nella direzione opposta della spiritualità. Le terapie di questo tipo piuttosto che determinare un liberatorio distacco, esaurendo definitivamente certe possibilità inferiori (i propri vizi e difetti), suggellano nel paziente il suo completo assoggettamento alla parte meno luminosa del suo composto psichico, i quali lo dominano e lo sommergono, accrescendone lo squilibrio e segnandone tragicamente il destino. Ed è particolarmente significativo che a sottoporsi alle sedute di analisi siano prevalentemente personaggi dell’alta borghesia e del ceto intellettuale (pittori, scrittori, attori, registi), anche in considerazione dei notevoli costi di tali cure; per cui, di fatto, si è andata selezionando una vera e propria novella aristocrazia, invertita negli orientamenti e ammalata nel carattere, la cui “missione” è forse solo all’inizio.

Lo spirito titanico è – come ci ricorda Evola – irrequieto, inventivo, sempre in cerca di qualcosa, tramite l’astuzia e il fiuto. Quando invece l’oggetto della mente olimpica è il reale, l’essere, ciò che è come esso veramente è. La pena, allora, cui è sottoposto Prometeo, rappresenta perfettamente ed in base ad un simbolismo del tutto evidente, l’opposto del distacco: la roccia a cui Prometeo è incatenato è il corpo, la fisicità, e il suo castigo non è una pena imposta da un potere estraneo più forte; l’animale – l’aquila inviata da Zeus – che gli rode il fegato mentre è incatenato alla roccia non è che un simbolo della stessa forza trascendente di cui Prometeo ha voluto appropriarsi senza la necessaria qualificazione, e che in lui non può agire che come qualcosa che lo dilacera e lo consuma. Il Principio divino è tutto e solo dall’accordo coi celesti la vita degli umani può svolgersi correttamente e in piena felicità, com’è nel caso di Eracle.

Sempre in Eschilo, Ermes, inviato da Zeus, rimprovera a Prometeo di non essere disposto ad ubbidire al Sovrano dell’Olimpo: «Eppure tali gesti d’arroganza/ti hanno fatto approdare a questi mali»; ma Prometeo replica: «Meglio essere schiavi a questa pietra/che i messi di fiducia di Zeus padre;/e rendo questa offesa a chi mi offese», per poi aggiungere, bestemmiando: «… odio tutti gli dei/cui feci bene e mi hanno reso male». La colpa di Prometeo ha origine in Prometeo stesso, nel suo carattere e nella sua azione: «di mia volontà, sì di mia volontà ho peccato; non nego; ma per soccorrere altrui mi son procurato questo tormento»; e la sua ribellione rappresenta, in definitiva, una caricatura e una contraffazione del vero distacco, apparendo come il rifiuto di un ordine precedentemente assunto e seguito come un superamento e un costruttivo andare oltre. Uno scioglimento dal vincolo e un abbandono del ritmo e della regola, in un annullamento caotico e distruttivo.

Siccome il mito è lo specchio di esperienze interne dell’uomo alla luce dello spirito, che dà a conoscere forze profonde che agirono formativamente nelle civiltà, esso fornisce la “mappa” per trovare il tesoro della liberazione (coi suoi enigmi e i suoi simboli, che vanno compresi e interpretati per raggiungere il luogo in cui è sepolto e custodito il Santo Graal); in modo che davanti al bivio che ci pone la vita si possa percorrere la possibilità positiva e la via luminosa che ci è indicata, assumendo un atteggiamento preciso di fronte alle vicende interne ed esterne, al mondo umano e a quello spirituale, alla storia e al pensiero, opposta a quella titanica e prometeica, sublimata, in tutta evidenza, nell’Umanesimo. E proprio questo è, in definitiva, quello che si propone di eliminare la cosiddetta cancel cultur: togliere all’uomo ogni possibilità di trovarla questa mappa cartina e pianta esplicativa che permette di accedere alle conoscenze indispensabili per la sua vita interiore e per il suo cammino spirituale.

Nel dominio culturale, l’umanesimo e il prometeico hanno celebrato l’emancipazione del pensiero e il distacco dal sacro; distruggendo il senso comunitario col prevalere dell’individualismo, e il relativo e conseguente passaggio al razionalismo e al progressismo, fino a sfociare nella “volontà di potenza” tecnica e di dominio della natura, nel miraggio delle conquiste della scienza profana, che inventa costruisce scopre, applicando quanto trasmesso a suo tempo dall’ingegnoso titano, dando così vita al fantasmagorico spettacolo di tutte le umane conquiste dei tempi ultimi, concentrate unicamente su discipline e tecniche che funzionano molto bene con gli animali da lavoro; gettando così le basi per il trionfo dell’attuale demonìa economica e finanziaria.

L’idea di purificazione ed espiazione di una condanna per una colpa commessa, come nel caso di Prometeo, si contrappone nettamente all’idea di prova da superare dell’eroe olimpico. La prima è propria dell’uomo, la seconda degli dei. Distinzione che rimanda a quella fra sapienza e conoscenza razionale, nota ai filosofi antichi (Pitagora, Socrate, Platone), che avevano un insegnamento esterno e un insegnamento interno, diversamente dai filosofi moderni, del tutto ignari di ogni collegamento superiore con la vera e propria Sophia. Come ci ricorda Guénon: «Quando l’uomo conosce se stesso nella sua essenza profonda, ossia nel centro del proprio essere, allora conosce il suo Signore. E conoscendo il suo Signore, conosce al tempo stesso tutte le cose, che vengono da Lui e a Lui ritornano».

Oggi, in tempo di transumanesimo, dove si opera pesantemente per affermare una civiltà del post-umano e dell’inumano, qualcuno potrebbe avere la tentazione di rivalutare e contrapporre a questa deriva un ritorno all’Umanesimo, che rimane una visione con al centro l’uomo e attenta alla sola condizione umana, affermatosi dalla civiltà rinascimentale in poi; quasi a voler attribuire all’improvviso a questa vera e propria malattia ed infezione – come abbiamo visto dalle forti componenti prometeiche e titaniche (“Nel tuo pensiero/hai venerato gli uomini, Prometeo”) – delle miracolose proprietà curative e salvifiche. Sarebbe un errore gravissimo, poiché si devono proprio alla riduzione alla condizione esclusivamente “umana” della realtà le premesse che hanno gettato le basi dell’attuale degenerazione e dello scivolamento verso il basso, in un trionfo dal carattere anti aristocratico e materiale. È lo stesso e identico errore che si compie ogni qualvolta si pretende di contrapporre al comunismo il liberalismo: curando un veleno sociale recente con  un precedente veleno altrettanto sovversivo.

Per ristabilire la comunicazione con il Principio e, secondo il mito ricordato, vivere in prossimità degli dei (che ne rappresentano gli attributi, le manifestazioni particolari, i Nomi divini), bisogna rimuovere tutti gli elementi divisivi e caotici dalla nostra personalità, armonizzandoli ed equilibrandoli mediante l’isolamento dalla molteplicità esterna, con l’intervento attivo della volontà; a cominciare dalla propaganda e dalle suggestioni del mondo moderno, verso le quali rimane sempre valido e attuale l’invito di Virgilio a Dante: «Non discorriam di lor, ma guarda e passa». Si tratta, in pratica, di fare il contrario di quello che il consumismo ci vuole imporre, realizzando il massimo allontanamento e distacco dai suoi “indispensabili” beni. Tutto ciò che è vano e futile rappresentando solo un’inutile perdita di tempo e una sterile distrazione, così come gli elementi istintivi e impulsivi del nostro carattere e della nostra natura inferiore, le azioni inopportune e le confuse alterazioni mentali e psichiche, che rappresentano i veri nemici contro cui combattere.

Ma se gli insegnamenti ricordati sopra non vengono “digeriti” nel giusto modo, essi ci entrano da un orecchio ed escono dall’altro. Allora – come ci ricorda Cornelio Agrippa, nella sua Filosofia occulta o la magia – «tutti i nostri discorsi, tutte le nostre parole, tutti i soffi della nostra bocca e tutte le nostre voci non hanno virtù alcuna, non essendo vivificate dalla voce divina. Perché non vi è virtù morale o naturale che non provenga da Dio, e il nostro intelletto, se retto e sano, può molto sulla natura purché sorretto dalla forza divina, assecondata ritualmente, mentre lavorano invano tutti coloro che fidano solo sulla natura e sulle forze e sul favore delle cose di quaggiù per giungere sino alle cose divine, o che cercano di sorpresa sottrarre al cielo quanto non è possibile ricevere che da Dio».

Come, appunto, fece il progenitore di tutti gli arroganti e dei senza Dio: Prometeo. «Quanto a torto i mortali accusano i numi e quanto stoltamente si lamentano! Perché noi soli siamo la causa dei nostri mali e ciascuno non soffre che per sua colpa», ci ricorda Crisippo. E non meno significative sono le parole messe in bocca a Giove da Omero: «I mortali accusano noi, noi loro divinità, e pensano che noi siamo la fonte delle loro sventure. Mentre li fa perire la vita detestabile da essi menata e di loro propria volontà cercano la sventura fuori del destino». Come si vede, ci troviamo di fronte al solito, ripetuto alibi: come può Dio permettere che accada… quello che non ci garba e non corrisponde al nostro parzialissimo e limitato metro umano?

 

 

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