

Quelli che oggi si mostrano come i detentori dei destini della Terra e dell’intera Umanità che la abita, i potenti signori del denaro e gli interessati progettisti del transumanesimo, fra i molteplici doni presentati come nuovi diritti, per allettare le masse e far loro credere che si operi nel loro interesse, c’è la volontaria (e gratuita!) soppressione di se stessi tramite l’eutanasia. Pratica resa meno orribile dalla garbata e ipocrita definizione di “fine vita”.
Ma, a ben guardare, un’incongruenza balza subito agli occhi già dall’anagrafe di costoro; sembrerebbe infatti che questo “pacco” regalo sia stato pensato solo ad esclusivo vantaggio e beneficio della gente comune, di tutte quelle persone, cioè, alle prese con i problemi quotidiani della condizione umana, nonché vittime impotenti del rapace e predatorio operato di questi filantropi, i quali si guardano bene dall’approfittare in prima persona di tale opportunità. Anzi, sembra proprio che essi cerchino di evitare in tutti i modi di imboccare quell’uscita di sicurezza approntata per gli altri. Questi non vogliono morire e puntano a rimanere il più a lungo possibile sulla scena del mondo e in mezzo… a noi. Arroccati nella loro decrepitezza con cui ingombrano l’orizzonte, hanno sostituito la funzione positiva del vecchio saggio con l’ignobile arroganza della senile prepotenza, ignari del detto: “muore giovane chi è caro agli dei”.
E se non si è cari agli dei, è matematico, bisogna che lo si sia a “qualcun altro”; per cui diventa legittimo chiedersi a questo punto se la loro sia vera vita, visto e considerato che questa ostinata longevità si traduce, alla fin fine, in un esasperato allungamento della vecchiaia, con tutto ciò che questo comporta in fatto di marciume e putrefazione fisica, da loro accettati e sopportati pur di trascinarsi in questo stato d’esistenza un giorno in più; mostrando così un attaccamento morboso alla più squallida e miserabile materialità. Del resto, per sfuggire a tale orrido sortilegio sarebbe necessario poter accedere ad un più ampio orizzonte spirituale, l’unico in grado di assicurare una vita libera e serena (nonché l’apprezzamento degli dei!), che, proprio in virtù dello scellerato “patto” da essi sottoscritto, gli è irrimediabilmente preclusa.
Infatti, di segno opposto è – in Seneca – l’idea dell’uscita volontaria dalla vita, che viene a coincidere col distacco dalle contingenze materiali ed il possesso dell’autentica libertà interiore (“Non vi è stato dato nulla di più facile del morire”), segnando tutt’altra direttrice al diritto a darsi la morte, quando sostiene che è infelice “l’uomo che non è mai andato incontro a sciagure e sofferenze, perché non ha mai avuto l’occasione di mettere alla prova le proprie capacità e di conoscerle”. Per cui, non è detto che sia sempre un bene per la propria anima aver rimosso tutti gli ostacoli materiali e poter godere di uno smodato benessere economico e materiale. E, per quanto l’alternativa a tutto questo non può certo consistere nell’autoimposta flagellazione del bisogno e della miseria, rimane pur sempre valida il detto evangelico del cammello che passa per la cruna di un ago.
Virgilio, presentandoci (Eneide, IX, 603-613) la base etnica su cui s’innestò lo spirito e la potenza di Roma ci offre, al contempo, una valida alternativa all’attuale degrado, narrando di una razza indurita fin dalla nascita, con i neonati portati al fiume e sottoposti al gelo delle onde, per poi lanciarli nella caccia nel cuore delle selve, fargli domare cavalli, scagliare frecce con l’arco, abituarli ad ogni fatica, domando con l’aratro la terra e abbattendo le città fortificate dei nemici, passando così tutta la vita con le armi in pugno; fino all’epilogo finale del loro transito terreno, quando “non spegne vecchiezza l’ardore dell’animo o attenua il vigore/copriamo con l’elmo i bianchi capelli, e sempre/ci piace raccogliere prede e viver di ratto”.
Se, infatti, un’alternativa ed un diverso modo di affrontare le attuali tristi e disperate contingenze sarà dato a qualcuno, sottraendolo alla resa ed alla rassegnazione che oggi invadono e devastano le coscienze, questo non dipenderà dal suo travestirsi da antico italico, quanto, semmai, dalla capacità di recuperare e rivitalizzare lo stesso spirito e gli stessi riferimenti e principi superiori che permisero di mantenersi giovani nell’anima e forti nel corpo i popoli che furono all’origine del miracolo romano; prendendo così coscienza e consapevolezza che si sta rischiarando la via per l’avvento di un nuovo ciclo, al di là dell’anomalia rappresentata dal mondo moderno nel suo complesso.
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