Psicología

Centro MENADEL PSICOLOGÍA Clínica y Tradicional

Psicoterapia Clínica cognitivo-conductual (una revisión vital, herramientas para el cambio y ayuda en la toma de consciencia de los mecanismos de nuestro ego) y Tradicional (una aproximación a la Espiritualidad desde una concepción de la psicología que contempla al ser humano en su visión ternaria Tradicional: cuerpo, alma y Espíritu).

“La psicología tradicional y sagrada da por establecido que la vida es un medio hacia un fin más allá de sí misma, no que haya de ser vivida a toda costa. La psicología tradicional no se basa en la observación; es una ciencia de la experiencia subjetiva. Su verdad no es del tipo susceptible de demostración estadística; es una verdad que solo puede ser verificada por el contemplativo experto. En otras palabras, su verdad solo puede ser verificada por aquellos que adoptan el procedimiento prescrito por sus proponedores, y que se llama una ‘Vía’.” (Ananda K Coomaraswamy)

La Psicoterapia es un proceso de superación que, a través de la observación, análisis, control y transformación del pensamiento y modificación de hábitos de conducta te ayudará a vencer:

Depresión / Melancolía
Neurosis - Estrés
Ansiedad / Angustia
Miedos / Fobias
Adicciones / Dependencias (Drogas, Juego, Sexo...)
Obsesiones Problemas Familiares y de Pareja e Hijos
Trastornos de Personalidad...

La Psicología no trata únicamente patologías. ¿Qué sentido tiene mi vida?: el Autoconocimiento, el desarrollo interior es una necesidad de interés creciente en una sociedad de prisas, consumo compulsivo, incertidumbre, soledad y vacío. Conocerte a Ti mismo como clave para encontrar la verdadera felicidad.

Estudio de las estructuras subyacentes de Personalidad
Técnicas de Relajación
Visualización Creativa
Concentración
Cambio de Hábitos
Desbloqueo Emocional
Exploración de la Consciencia

Desde la Psicología Cognitivo-Conductual hasta la Psicología Tradicional, adaptándonos a la naturaleza, necesidades y condiciones de nuestros pacientes desde 1992.

martes, 11 de abril de 2023

La Rivoluzione proibita della Falange


Un saggio di Bernd Nellessen

Il fascismo è stato fenomeno politico europeo. In Spagna ha avuto la sua autentica espressione nella Falange di José Antonio Primo de Rivera. A riportare l’interesse su tale movimento, è la recente pubblicazione di un volume di Bernd Nellessen intitolato La rivoluzione proibita, nelle librerie per Oaks editrice, con prefazione di Massimo Maraviglia (per ordini: info@oakseditrice.it, pp. 212, euro 18,00). Il libro, tesi di dottorato dell’autore, fu pubblicato in Germania nel 1960. Della sua rilevanza storica si accorse l’editore Giovanni Volpe che lo fece uscire, nel 1965, nel suo catalogo.

Si tratta, certamente, di un lavoro scientifico, costruito su una vasta gamma di documenti, dal quale si evince la padronanza di Nellessen dell’argomento trattato. Saggio, pertanto, come precisa Maraviglia, avalutativo, le cui pagine sono costruite da intenzione esegetica sine ira et studio. Nonostante ciò, come mostra il titolo del libro, l’obiettivo ermeneutico dell’autore è del tutto esplicito: chiarire come le grandi idealità della “prima” Falange siano venute meno nel partito unico voluto da Franco, che ne conservò solo il nome. Quella della Falange risultò essere, pertanto, una “rivoluzione proibita” o impossibile.

Il testo muove dall’analisi dei presupposti storici che hanno reso, in Spagna, la prima metà del secolo XX, una lotta senza quartiere tra due diverse idee di mondo: la liberale e la socialista da una parte, e quella “tradizionale” e cattolica dall’altra. L’autore prosegue, inoltre, con il presentare i personaggi più significativi e le idealità politico-sociali che animarono, fin dalla fondazione, il falangismo. Nellessen si sofferma su José Antonio e Ledesma Ramos, ma non trascura la personalità di Onésimo Redondo, del cenacolo di Valladolid, né sottovaluta la dialettica interna del movimento, che produsse, in alcune circostanze, divisioni insanabili. Viene, inoltre, colto il legame sussistente tra alcune tesi storiche del falangismo e le posizioni espresse in tema dal filosofo Ortega y Gasset.

Lo studioso presenta i momenti drammatici della guerra civile, fino a giungere al Decreto di unificazione del 19 aprile del 1937. Con tale atto, Franco, a suo dire, avrebbe smorzato, nel regime personalistico che andava costruendo, l’afflato rivoluzionario-conservatore e nazionale della Falange, al punto che risulta possibile parlare di una prima e una seconda Falange. Queste due diverse esperienze politiche non avrebbero nulla in comune, se non aspetti formali. Nellessen mette in luce il tratto minoritario, élitista e intellettuale, della prima Falange che, per questo, non avrebbe potuta percorrere altra strada, in quanto il “velleitarismo” di José Antonio e dei suoi, in sé, non era latore di effettivi sbocchi politici.

In realtà, come colto dal prefatore, il sorgere delle idealità falangiste, rappresentò una sorta di reazione alla cattiva modernità, all’atomismo sociale che andava dissolvendo, perfino in Spagna, in nome dell’utile e dell’economico, l’intero corpo sociale. Due furono i punti centrali attorno ai quali tale contromovimento, mirato a costruire un’altra modernità, atta a recuperare i valori dell’hispanidad, si coagulò: la difesa della comunità e della trascendenza religiosa. Ciò comportò, secondo Maraviglia: «da un lato lotta serrata contro la risorgente tentazione del particolarismo, dall’altro affermazione incontrastata della Weltanschauung cattolica» (p. II). Riconquista dell’unità statale legata, naturalmente, al dinamismo proprio alla vocazione imperiale dell’hispanidad: «L’unità dello Stato apre a una trascendenza religiosa e questo […] la salva dal divenire il programma di un imperialismo orizzontale» (p. III). Tale atteggiamento è esemplarmente mostrato dal simbolo della Falange, laddove giogo e frecce: «esprimono proprio il vincolo che serra in un identico destino tutti gli spagnoli e il dinamismo di una realtà che mai si ferma alle mete raggiunte» (p. III).

La buona modernità, segnata dal cattolicesimo, nella prospettiva della Falange, si contrappone alla modernità escatologica e utopistica. Si tratta, in qualche modo, del riproporsi del secolare conflitto di Spagna e Inghilterra, da cui, nel 1713, con la pace di Utrecht, uscì sconfitta la prima. All’incipit del ventesimo secolo, tali rapporti avrebbero dovuto essere ribaltati, attraverso la contro-politicizzazione della società spagnola, che cominciava a esser permeata dal giacobinismo illuminista. In tale progetto, la Falange, pur risultando alla fine sconfitta e risucchiata nel fronte anticomunista creato dal Franchismo, non per questo sparì dall’agone politico. Quella resa da José Antonio e da altri appartenenti al movimento, al momento della loro esecuzione, è testimonianza vitale, dal tratto mistico-religioso. I loro corpi offesi, ancor oggi, mettono a tacere i falsi valori della clase discutidora, le cui parole sono vuoto orpello retorico, in quanto: «il testimone produce un taglio nella catena inarrestabile delle argomentazioni, opponendo […] il peso ineguagliabile del proprio corpo ferito» (p. X). Il sacrificio della vita erige un saldo confine tra l’autentica testimonianza e la prudenza vile dei più: «Ovunque tale muro viene costruito, si genera lo spazio per una nuova dignità della politica» (p. XI), chiosa il prefatore.

Non casualmente, José Antonio ebbe a scrivere che i primi fermenti rivoluzionari non possono esser compresi dalle masse, in quanto queste, vivendo un periodo di decadenza, tendono a perdere il mirabile dono della “luce interiore”. Ecco, l’azione, le idee e la vita del fondatore della Falange, tesero a restituire alle masse contezza di sé, al fine di renderle effettivo soggetto della storia e non mero strumento oggetto di eterodirezione.

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