

Non si denuncerà mai abbastanza la riduzione dell’esistenza umana alla sola dimensione fenomenica e materiale, precludendosi chi pensa in questo modo l’accesso alle possibilità più profonde ed elevate del proprio essere, riducendo la vita all’agire corporeo superficiale ed esteriore e a un misero gesticolare, agitato e senza regole. Comportandosi, insomma, come se consistesse solo nell’apparenza terrena, quando invece l’uomo è – prima di tutto – anima e intelligenza che supera l’ampiezza del cielo e il corso del tempo. Se l’uomo è in pace con se stesso, la realtà celeste e quella terrena si armonizzano in lui, che è tramite e fondamento del loro equilibrio. Del resto, gli estremi possono riunirsi solo attraverso un termine medio, incontrarsi a metà strada, ed è medio solo quello che ha già riunito gli estremi in sé, che ne ha realizzato la contemporaneità, che beneficia di entrambe le condizioni.
Mentre invece opponendosi alla volontà superiore e all’ordine universale si manca di osservare i decreti divini, fino a nuocere e recare danno all’assetto e all’armonia del mondo in cui si vive; ingrandendo oltremodo la dipendenza dal destino e ignorando i segni del cielo, che nemmeno vengono considerati e a cui non si dedica alcuna attenzione; essendo la conoscenza l’unica difesa e protezione, mentre l’ignoranza è incognita e rischio, debolezza e fragilità. Se la natura ci è propizia osservando le leggi che la regolano e l’ordine che la sostiene, violando tale ordine ci si scosta e allontana da essa, rendendocela ostile e nemica. Gli odierni squilibri ambientali e le crescenti calamità naturali sono lì a dimostrarlo.
Diventa allora inevitabile il fatto che abbiano maggiore presa e influenza sull’uomo, sottomesso ai sensi e alle passioni, i richiami del sesso, i morsi della fame, gli appetiti del corpo, la ricerca delle comodità e del benessere fisico, trovandosi in lui spalancate e incustodite le “finestre” del corpo. Sebbene, come ci ricorda Pico della Mirandola, i sensi «sono stati dati dalla natura a tutti i mortali per procure al corpo la vita e la salute; perché per mezzo loro conoscano le cose che nuocciono e quelle che giovano e, dopo averle conosciute, per l’istinto legato al senso, disdegnino le prime, desiderino le seconde; e, infine, per la connessa capacità motrice, fuggano le cose dannose, ricerchino le utili. L’occhio vede il cibo, l’olfatto ne sente l’odore, i piedi portano ad esso, le mani lo prendono, il palato lo gusta».
Tutto dipende dall’uso che si fa degli strumenti sensoriali, dal “metodo” adottato nell’usufruirne e approfittarne. In un’ottica religiosa, per esempio, già il “pregare senza posa” è sufficiente a rischiarare la mente e a fugare dall’anima le tenebre, le affezioni della carne e le passioni della materia. Per cui, a maggior ragione e con più attiva consapevolezza, ciò è vero in un cammino verso l’ascesa, dove le tecniche e gli strumenti, il raccoglimento e la concentrazione, le astinenze e i digiuni, i riti e le invocazioni, con l’uso della voce e con l’ausilio di suoni e forme, parole di potenza, mantra, gesti e segni appropriati, sono particolarmente efficaci nel sopperire alle manchevolezze umane, per via dell’educazione e della disciplina richieste; con una condotta di vita regolata e con l’appropriato uso rituale degli elementi alla base delle cose naturali (Fuoco, Terra, Acqua e Aria), fino al raggiungimento della perfezione interna ed esterna.
Purché queste regole e queste istruzioni non vengano prostituite e date in pasto al primo venuto, necessitando la custodia e la salvaguardia del segreto celato in fondo al cuore di colui che opera. Trattandosi di un grande AMORE – il più grande di tutti, che scalza e precede ogni altro vincolo e legame – esso va salvaguardato ad ogni costo, nei modi più opportuni e con gli accorgimenti più efficaci. Non è possibile farne argomento di conversazione, discorrerne davanti a un pubblico curioso o in mezzo a masse ottuse e ignoranti, dovendosi in tal caso ricorrere a un linguaggio basso e volgare, all’uso di parole mediocri e dozzinali comprensibili a tutti. Ed è proprio questo uno dei motivi per cui ogni forma di proselitismo, qualunque vendita (religiosa) suonando ai citofoni, è quanto di più perturbatore e antitradizionale si possa immaginare: degrada il venditore e offende l’acquirente!
D’altronde, proprio il silenzio (celare, tenere nascosto) ha stretta attinenza e diretta relazione con l’idea del raccoglimento e della concentrazione, dei quali costituisce la base e il presupposto. Se poi si considera che le espressioni sapienziali dei testi sacri sono sempre stese in forma ritmico-poetica, a imitazione del battito cardiaco e delle cadenze cosmiche e astrali, è del tutto comprensibile il moderno decadimento della parola, il suo travalicare ogni limite e misura, evitando ogni possibile controllo e limitazione, pienamente coerente con la perdita di direzione, lo smarrimento e la solitudine che invadono l’uomo materializzato, e, di conseguenza, la civiltà sconsacrata da lui edificata.
Perfino presso i cosiddetti primitivi è richiesta «una grande riservatezza, fatta di rispetto e di timore, quando si tratta di pronunciare i nomi o di disegnare le forme delle potenze soprannaturali». Nelle loro cerimonie sacre, infatti, non si può pronunciare il nome di un’entità superiore senza provocare importanti movimenti nel mondo invisibile, perché pronunciando il nome, si evoca la cosa o l’essere che lo porta, lo si obbliga in qualche modo a presentarsi. «Come non si pronuncia mai il nome del genio dell’acqua, così non si disegna mai la sua immagine. Sarebbe, rispetto a lui, una grossolanità: rappresentarlo significherebbe obbligarlo a presentarsi». Solo gli iniziati possono decifrare e manipolare il sistema continuo del mondo (M. Griaule, Dio d’acqua).
Quello che un tempo costituiva la Conoscenza nella sua universalità, oggi è stato sostituito delle scienze, le quali muovono dal presupposto che se una cosa si può fare la si deve fare: nel frastuono del progresso plebeo e in vista di esclusivi successi mercantili e di bassi scopi utilitaristici, fino al punto di mettere a repentaglio la stessa vita sulla Terra. Quando invece la Sapienza antica sapeva che esistevano dei limiti oltre i quali non era concesso andare, delle porte che non potevano essere aperte, delle “colonne” che non si dovevano attraversare, delle perle da non dare ai porci. Fare dunque e tacere; operare e non mostrare; realizzare e non firmare; lasciando tutto lo spazio a disposizione dello spirito, al soffio del sacro, al continuo riaffiorare del divino in ogni segno del manifestato.
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