

In un libro che Gaetano ci regalò tanti anni fa, e solo di recente preso in mano, essendo rimasto a lungo relegato in uno scaffale della libreria (un “cimitero” simile a quello dove vengono deposti gli allegati della posta elettronica, a futura memoria!), troviamo una frase sorprendente e, allo stesso tempo, rivelatrice, che abbiamo letto e interpretato come un suo messaggio personale e una sua diretta sollecitazione: sentendolo sempre presente e a noi vicino! Un profondo insegnamento ed una vera lezione di vita, perfettamente in linea con quelli che erano il suo stile, il suo carattere e il suo modo di fare.
La frase recita: «si può osservare il male ma non attardarsi a considerarlo», che corrisponde, poi, all’invito di Virgilio a Dante: «guarda e passa». Essendo proprio questo uno dei rischi a cui si è esposti oggi maggiormente, e forse solo ora ce ne rendiamo pienamente conto, nel momento in cui si viene continuamente bombardati dalle morbose ed esplicite descrizioni dei “colpi inferti”, della “profondità delle ferite”, della “lunghezza e tipologia della lama”, del “ritrovamento” e delle “condizioni” del corpo, della “sofferenza dei parenti” e della “indifferenza dei colpevoli”…
E il rischio non è certo meno grave quando si guarda ad avvenimenti che non ricadono più nella semplice cronaca nera quotidiana, ma si va a scavare ed esplorare i retroscena dei foschi destini del Mondo attuale: quando si scruta “dietro le quinte”, quando si indagano le “macchinazioni”, quando si cercano le “cospirazioni”, quando si analizzano i “disegni malvagi” e si sfogliano le infami “agende” della tirannia globalista.
La sola cosa sensata da fare, in questi casi, è evitare in tutti i modi di farsi attrarre e coinvolgere nella spirale di brutture e orrori, di paure e ansie ossessive, che non fanno altro che oscurarci il Sole e scaraventarci nelle tenebre più profonde. Attardarsi serve solo a rimanere imbrigliati e a sporcarsi, a venire “agganciati”, e ad essere – nostro malgrado – manipolati, condizionati, contaminati, infettati e avvelenati.
Del resto, quello che l’uomo può fare, i movimenti che egli può eseguire, sono alquanto limitati, e, come spiega San Tommaso (Summa, 2, II, CLXX, 6), essi avvengono sempre in direzione retta o obliqua; come quando gli adolescenti si ritrovano a vagabondare (fisicamente e mentalmente) da un posto a un altro, da un’idea a un’altra, da un certo tipo di pensiero al suo contrario, senza meta e senza centro, con solo la noia e la nausea a scandire le interminabili, vuote giornate. Mentre invece «il moto circolare è l’atto contemplativo il più perfetto e appartiene agli Angeli» – aggiunge il Doctor Angelicus – avendo questi come Centro e Punto Dio, a cui guardano incessantemente. Solo quando l’anima umana si stacca dalle cose sensibili e si rivolge al suo interno, come avviene nella concentrazione e nella meditazione, giunge alla perfezione del moto circolare, ottenendo così quella quadratura del cerchio da sempre indagata dalla geometria sacra.
E siccome all’estasi e al cambiamento di stato che essa implica non si giunge senza morire alla vita corporale, per arrivare con la mente a Dio occorre morire misticamente. Non può vedere Dio l’uomo che non muore a se stesso, compiendosi tale trasmutazione nella “fiamma del rito” (all’esterno) e nel “fuoco dal profondo” (all’interno), che sono poi il fuoco e la folgore Celeste, che brucia ogni scoria e purifica qualunque residuo psichico e corporeo.
I ritmi cosmici e le cadenze annuali e stagionali, ricordati con particolare enfasi ed efficacia in determinate ricorrenze e in specifiche date, i punti critici di mutamento trasformazione e rinnovamento segnati con appositi atti parole e gesti, nelle celebrazioni festive e tramite le corrispondenti esecuzioni rituali, una volta diventati Centro e Punto di riferimento per la propria esistenza individuale, permettono di attingere, nella loro circolarità, alla forza ed al sostegno necessari per regolare i propri ritmi quotidiani, per imprimere una direzione e un ordine al proprio “movimento” personale e all’interiorità umana. Per essere definitivamente centrati e padroni del proprio destino e della propria direzione, diventando così finalmente se stessi e compiendo la missione ad ognuno assegnata.
Tutto questo era, per esempio, magnificamente rappresentato nella cerimonia della Danza del Sole presso i Sioux Dakota, dove il “cerchio della vita” ruotava intorno ad un unico Punto, a cui i danzatori si ispiravano, prendendolo a modello per costruire perfino le loro abitazioni, simili ai nidi degli uccelli, costruiti secondo le stesse regole dettate dalle corrispondenze e leggi cosmiche universali.
Ma tutte le società tradizionali hanno sempre praticato cerimonie e rituali dello stesso tipo. E, venendo a noi, una delle feste religiose più significativa e importante, non a caso coincidente col risveglio primaverile della natura, consiste nella celebrazione della Pasqua, nella tradizione cattolica. E la singolare coincidenza, quest’anno, delle celebrazioni pasquali (sia cattoliche che ortodosse), con la ricorrenza del 21 Aprile, il Natale di Roma, nel simultaneo ricordo del Risorto e della Fondazione della città eterna, si mostra come un segno di particolare importanza ciclica e dal profondo significato cosmico, per tutta una serie di motivi.
Se, infatti, sul piano del percorso personale è indicata la via per la rinascita ad una nuova vita, per la conversione (nel senso etimologico di cambiamento di direzione e stato, di passaggio e rinnovamento) dell’essere, ricondotto al moto circolare prima ricordato, orientandone l’esistenza verso il Punto Centrale, verso l’Essenza, verso il Principio: il solo in grado di dare un senso compiuto e regolato all’esistenza di ognuno; sul piano più generale dello Stato, della vita comunitaria e sociale, si festeggia l’unica istituzione capace di assicurare Ordine, Giustizia e protezione del dominio spirituale, cioè l’Impero, che in Roma trovò la sua massima realizzazione conosciuta, e che ancora oggi rappresenta la sola alternativa valida e concreta al disordine interiore e al caos esteriore, ovunque dilaganti.
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