La ricerca della vita imperitura è centrale nella disciplina alchimica. L’attuazione pratica di tale chimerica finalità è parte di insegnamenti segreti per secoli celati ai profani.
di Ezio Albrile
Uno sconosciuto autore di «fantasy», David H. Keller (1880-1966), nel 1949 pubblicò un insolito romanzo a sfondo esoterico [1], The Homunculus (Prime Press, Philadelphia 1949). È la storia del colonnello Horatio Bumble, pensionato nella casa dei suoi antenati con la moglie Helen e la cagnetta pechinese Lady. I Bumble non hanno prole, e il colonnello sta tentando di produrre una discendenza sperimentando la partenogenesi [2], cioè attraverso l’azione d’un solo sesso; sarà l’homunculus che dà il titolo alla narrazione. Per fare questo il novello mago Horatio miscela sapientemente qualche litro di arcanum sanguinis hominum [3], seguendo le istruzioni del tirolese John Ferd, conte di Kueffstein nel 1775, che aveva dettagliato i suoi esperimenti nel diario del maggiordomo, Jasper Kammemer [4] e in altri documenti massonici del tempo. Il nome del maggiordomo ricorda, curiosamente, anche per la finalità delle esperienze magiche, quello dell’occultista nostrano Giuliano Kremmerz, al secolo Ciro Formisano (1861-1930), figura controversa e discussa dell’esoterismo partenopeo, principalmente per l’utilizzo delle energie sessuali, fondamentali a suo dire nel potenziamento delle forze celate nelle abissalità dell’animo umano. Svariate tradizioni misteriche convengono su tali percezioni, una è rappresentata dall’alchimia, intesa come rigenerazione interiore e come potenziamento e realizzazione d’una particolare specie d’immortalità.
Alchimisti
L’alchimia ermetica kremmerziana insiste sull’idea che attraverso operazioni interne al corpo umano si possa raggiungere una longevità così straordinaria da coincidere con l’immortalità. Tale percorso è identificato misteriosamente con la potenza del «cinabro». L’importanza del cinabro è da ricollegarsi sia al colore rosso ‒ del sangue e del principio vitale ‒ sia al fatto che messo sul fuoco esso produce mercurio. Il cinabro nasconde quindi il mistero della rigenerazione attraverso la morte e la rinascita; ne consegue che esso può assicurare la rigenerazione perpetua del corpo, e procurare l’immortalità. Non esiste solo il cinabro minerale: esso può essere creato all’interno del corpo umano.
Secondo i dettami alchimici, nell’«acqua divina» è racchiuso il «mercurio», argyreion hydōr, hydrargyros, l’«argento vivo», distinto dall’hydōr aeikinēton, l’«acqua sempre in movimento» [5], ossia l’argento vivo comune, che l’alchimia latina chiama Mercurius crudus, opposto al Mercurius non vulgi. Nell’alchimista Zosimo, l’«argento vivo», è uno pneuma, uno «spirito», la cui duplice natura, liquida e solida, in linguaggio alchimico lo rende arsenothēlys, «maschio-femmina», «androgino» [6]. L’androgino mercuriale è il possente «spirito aureo» celato nell’«acqua divina», efficace nel legare indissolubilmente il corpo maschile, il rame, con l’anima femminile, l’argento. Non a caso un sale mercuriale, il solfuro di mercurio, il cinabro [7], kinnabaris, il «sangue del drago» dal caratteristico colore rosso purpureo, è ritenuto sinonimo sia della prima materia che dell’uovo filosofico [8], e che assonanza fonetica richiama la kannabis (Cannabis indica L.) di cui parla Erodoto narrando le esperienze estatiche di una popolazione dell’Iran esterno, gli Sciti. La loro liturgia funeraria consisteva in una sequela di suffumigi a base di quella che egli chiamava kannabis (4, 74, 1), un ingrediente psicoattivo che li portava, ululanti, in uno stato di delirio euforico. Esistono poi specifiche operatività alchimiche per produrre un «cinabro artificiale» [9], e in varie ricette il cinabro è esplicitamente assimilato all’uovo, che è tanto materia primordiale e indifferenziata, quanto sostanza palingenetica e trasmutativa [10].
Zosimo di PanopoliL’uomo artificiale
Immagini e simboli sono i più disparati e vari, ma rimane una nesso comune riferito a una visione del mondo gnostica e a un insieme di pratiche ermetiche e fisiologiche. La costruzione in questa vita d’un cosiddetto «corpo di gloria» permetterebbe di acquisire la certezza dell’immortalità futura e conferirebbe poteri magici fisicamente visibili e utilizzabili. Ritroviamo tali elementi nella cosmologia narrata da Zosimo, configurata come l’esito di un viaggio interiore, d’un «sogno lucido» in cui le mutazioni della materia e dei corpi sono l’esito di una intima demiurgia. Parte di tali «visioni» sono raccolte in una serie di praxeis Sulla virtù. Sulla composizione delle acque [11]. La prima è una complessa trasformazione le cui tappe cruciali sottintendono un rito sacrificale compiuto in un «altare a forma di coppa» (bōmos phialoeidēs) [12]. Dall’interno di questo contenitore affiora una voce [13]:
Io sono Ione, il sacerdote dei penetrali inviolabili, e sopporto un dolore indicibile. Poiché qualcuno all’alba, correndomi incontro, s’è impadronito di me e mi ha fatto a pezzi con un coltello. Mi ha sezionato secondo la mia struttura fisica, scorticandomi il capo con la spada che impugnava. Ha amalgamato le ossa al corpo e mi ha bruciato con il fuoco che promanava dalle sue mani, trasformando il mio corpo in spirito…
La scena granguignolesca prosegue: Zosimo osserva terrorizzato il personaggio cangiarsi in un anthrōparion, un homunculus mutilato, che si accascia a terra mentre divora le proprie carni [14], «in sé medesmo si volvea co’ denti», direbbe Dante [15]. Una caricatura di essere umano che avrà una grande fortuna [16] e sarà riportata in auge in epoca rinascimentale da Paracelso (1493-1541) il grande riformatore della materia medica.
La malattia per Paracelso non era determinata soltanto dai quattro elementi o quattro umori come voleva la classica medicina ippocratico-galenica, ma anche dalla componente planetaria e astrale presente nell’organismo umano. Questo «firmamento interiore» ha un suo riscontro nel mondo stellare e planetario di cui il medico dovrà conoscere i moti e le congiunzioni per diagnosticare correttamente la malattia. I farmaci per curare queste affezioni dovranno essere preparati alchimicamente, seguendo la combinazione delle tre principali essenze, i tria prima, lo zolfo (sulfur), il mercurio (mercurius) e il sale (sal) [17], principi che erano contenuti nei quattro elementi ‒ terra, aria, fuoco e acqua ‒ i quali a loro volta derivavano dall’yliaster, il Caos materico originario. La malattia, secondo il grande medico e alchimista, era provocata dal venir meno dell’equilibrio nel rapporto fra questi tre principi nel quadro di una corrispondenza astrale fra il «firmamento» e la sede di una particolare malattia nel corpo [18].
ParacelsoSessualizzazioni
Elemento spermatico, il mercurio in Paracelso è alla base della produzione di ciò che egli chiama homunculus: un essere vivente in miniatura, concepito in un athànor, un recipiente artificiale, luogo di gestazione che riproduce le fattezze del corpo umano [19]. Paracelso è anche il primo ad utilizzare i metalli nella pratica medica; qualcosa di simile era preconizzato nel terzo libro della Repubblica: Platone, parlando della genitura degli uomini ad opera della «madre terra» [20], affermava indirettamente che la loro stirpe poteva essere distinta secondo la rispettiva indole, poiché plasmata ora con «oro» o «argento», ora con «bronzo» o «ferro» [21].
C’è nell’argomentare di Paracelso un’ambiguità tra alambicco e involucro corporeo svelata in uno specifico trattato [22], il De homunculis: in esso è ricordato come le donne per opera dell’immaginazione, attraverso il coito possano generare creature indesiderate [23], secondo un modulo mitopoietico che si trova ad esempio in apocrifo giudaico-cristiano, i Testamenti dei Dodici Patriarchi. Come sia possibile attuare tale gestazione è spiegato poco oltre, in un passo in cui la pratica della spermatofagia è ritenuta anch’essa veicolo della generazione: attraverso la bocca il seme penetra nello stomaco proprio come attraverso la vulva penetra nell’utero e, dopo una sorta di «gravidanza gastrica», nasce un homunculus [24].
La gestazione dell’homunculus a partire da un miscuglio spermatico di elementi vari si ripresenterà nel secondo atto del Faust di Goethe. Così avverrà – dice l’alchimista – che se «chiudiamo ermeticamente, in una storta, la sostanza umana [= sperma], e la distilliamo ripetutamente nel modo dovuto, l’Opera si compirà in silenzio» [25]. Tali concezioni medico-alchemiche, nella loro fisicità ultima sembrano quindi rappresentare l’aspetto puramente sessuale di qualcosa che affonda le proprie radici nell’universo della visione interiore [26].
Da queste visioni possiamo capire come l’alchimia agisca sull’intelligenza emozionale, cioè su una funzione introspettiva più o meno latente: l’esperienza che ne deriva è fondamentale per la formazione e il consolidamento psicologico dell’individuo. Sono le idee che fondano la biopsicologia di Antonio Damasio (1944-), neurologo al College of Medicine della Iowa University, secondo cui non esiste la ragione pura, in quanto l’uomo pensa con il suo corpo e con le sue emozioni. Il corpo abita il mondo aprendosi ad esso, alle cose che lo costituiscono materialmente, e l’emozione non si limita a delle risposte oppure a degli adeguamenti all’emergenza [27]. Essa ha una sua esistenza ambiguamente autonoma che ci permette di adoperare la forma e la consistenza degli oggetti facendoli nostri secondo determinati parametri come il piacere, la simpatia, il disgusto e così via. È una tensione che ci dispone alla conoscenza di una conoscenza già acquisita della cosa e di noi stessi, indipendentemente dall’esistenza di un elemento a noi esterno.
Possiamo dimostrarci particolarmente sensibili a una musica, a un colore, a un odore. Tutto ciò fa parte di un’esperienza introspettiva nella quale l’emozione agisce da regolatore e ci dispone in qualche modo nel mondo. Ecco perché la poesia e il linguaggio simbolico sono particolarmente adeguati all’attività emozionale: nella loro essenzialità trasmettono significati sommersi, repressi, agiscono come arnesi che svellono il terreno dei ricordi, delle sensazioni sopite, dell’intimità personale. L’essere nel mondo dell’alchimista, come del poeta, o comunque di chi vive un’esperienza col corpo sino alle viscere più profonde, come racconta Zosimo, apre a dimensioni nuove e insospettate.
NOTE:
[1] J. L. Chalker & M. Owings, The Science-Fantasy Publishers. A Bibliographic History (1923-1998), Mirage Press Ltd.,Westminster (MD)-Baltimore 1998, p. 531.
[2] The Homunculus, p. 67.
[3] The Homunculus, p. 63.
[4] The Homunculus, p. 66.
[5] C.G. Jung, L’albero filosofico, trad. it. L. Baruffi-I. Bernardini, Boringhieri 1983 (ed. or. Olten 1954), p. 85.
[6] M. Mertens (éd.), Zosime de Panopolis. Mémoires authentiques, Les Belles Lettres, Paris 1995 pp. 169-171 (note); A.-J. Festugière, «Il simbolo della Fenice e il misticismo ermetico», in Ermetismo e mistica pagana, Il Melangolo, Genova 1991, pp. 224-225.
[7] Theophr. Lap. 58-59; Diosc. 5, 94-95; Plin. Nat. hist. 33, 111-122.
[8] R. Turcan, «L’oeuf orphique et les quatre éléments (Martianus Capella, De nuptiis, II, 140)», in Revue de l’Histoire des Religions, 159-160 (1961), p. 22; Theophr. Lap. 58-59; Diosc. 5, 94-95; Plin. Nat. hist. 33, 111-122.
[9] A. Colinet (éd.), Recettes alchimiques (Par. Gr. 2419; Holkhamicus 109). Cosmas le Hiéromoine. Chrysopée (Les alchimistes grecs, XI), Les Belles Lettres, Paris 2010, pp. LXXXIII-LXXXVIII.
[10] M. Berthelot-Ch. Ém. Ruelle (ed.), Collection des anciens alchimistes grecs, Steinheil, Paris 1888, I, p. 81.
[11] M. Pereira, Arcana sapienza. L’alchimia dalle origini a Jung (Studi superiori, 395), Carocci, Roma 2001 pp. 61-65.
[12] Oppure a forma di alambicco o di fiala, Mertens, Zosime de Panopolis, p. 35 n. 6; Pereira, Alchimia, p. 61.
[13] Peri Aretēs 2, 28-35 (Mertens, Zosime de Panopolis, p. 36); cfr. S. Knipe, «Sacrifice and Self-Transformation in the Alchemical Writing of Zosimus of Panopolis», in Ch. Kelly-R. Flower-M. Stuart Williams (eds.), Unclassical Traditions, II: Perspectives from East and West in Late Antiquity (Cambridge Classical Journal, Supp. 35), Cambridge Philological Society, Cambridge 2011, pp. 59-69.
[14] Peri Aretēs 2, 38-40 (Mertens, Zosime de Panopolis, p. 36).
[15] Inf. 8, 63; cfr. E. Salvaneschi, «Linguaggio alchemico e pensiero antitetico», in Paideia, 46 (1991), p. 12.
[16] G. Quispel, «Gnosis and Alchemy: the Tabula Smaragdina», in R. van den Broek-C. van Heertum (eds.), From Poimandres to Jacob Böhme: Gnosis, Hermetism and the Christian Tradition (Pimander: Texts and Studies published by the Bibliotheca Philosophica Hermetica, 4), In de Pelikaan, Amsterdam 2000, p. 307.
[17] W. Pagel, Paracelso (La Cultura, 93), trad. M. Sampaolo, Il Saggiatore, Milano 1989 (ed. or. Basel-New York 19822), pp. 72 ss.
[18] Pagel, Paracelso, pp. 61 ss.
[19] Cfr. A. Caracciolo, «Corpo nemico. Gli organi sensori nella letteratura demonologica dell’Età della Controriforma, in particolare nella figura della possessione», in Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Macerata, 24 (1991), pp. 93-135.
[20] Resp. 414 d-415 a.
[21] Cfr. U. Bianchi, «Razza aurea, mito delle cinque razze ed Elisio», in Studi e Materiali di Storia delle Religioni, 24 (1963), pp. 143-146; G. Acerbi, «Le ‘caste’ secondo Platone», Pt. I, in Convivium, 4: 12 (1993), pp. 17-29; Pt. II, ivi, 4: 13 (1993), pp. 11-32.
[22] Sulle radici gnostiche degli insegnamenti paracelsiani, Pagel, Paracelso, pp. 167 ss.
[23] Aureoli Philippi Theophrasti Bombast, ab Hohenheim dicti Paracelsi, Operum Medico-Chimicorum sive Paradoxorum, t. IX, Francoforte 1605, pp. 230-232; K. Sudhoff (Hrsg.), Theophrast von Hohenheim, genannt Paracelsus. Sämtliche Werke, I. Abteilung: Medizinische, naturwissenschaftliche und philosophischen Schriften, XIV, Oldenbourg, München 1933, pp. 325-328; trad. it. Paracelso, De Homunculis. Libro sugli homunculi, Phoenix, Genova 1992, p. 28; cfr. R. Astori (cur.), Lo specchio della magia. Trattati magici del XVI secolo, Mimesis, Milano 1999, pp. 72-73.
[24] Paracelso, Operum Medico-Chimicorum sive Paradoxorum, p. 232.
[25] J.W. Goethe, Faust e Urfaust, trad. it. G. V. Amoretti, II, Feltrinelli, Milano 19944, p. 399.
[26] Il retaggio gnostico è stato evidenziato da W. Fraenger, Le tentazioni di sant’Antonio (Biblioteca della Fenice, 40), trad. it. I. Bernardini-E. Gini, Guanda, Milano 1981 (ed. or. Dresden 1975), pp. 79-80.
[27] A. Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, trad. it. F. Macaluso, Adelphi, Milano 1995 (ed. or. New York 1994).
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