

Del recente scontro armato fra India e Pakistan – ultimo di una lunga serie, da addebitare all’eredità avvelenata dell’imperialismo mercantile britannico – colpisce in primo luogo l’elemento (altamente significativo) dell’appartenenza “religiosa” dei due Stati in conflitto. Risultando quella indù la Prima tradizione, la più prossima alla Tradizione primordiale (non per nulla l’induismo fu scelto da Guénon come modello esplicativo dei principi reggitori di ogni società tradizionale); mentre invece quella islamica, adottata in Pakistan, rappresenta l’ultima tradizione ad essersi manifestata, ovvero il sigillo delle rivelazioni di questo Ciclo cosmico. Scelta, anche questa non a caso, da Guénon come “rifugio” rituale e religioso.
L’inconciliabile ostilità, per quanto localizzata, fra due tradizioni così importanti per i destini dell’Umanità, le insanabili divergenze e divisioni insieme a tanti altri segnali che ci giungono da quella parte del Mondo, fanno nascere seri dubbi sull’effettiva continuità tradizionale nell’Oriente attuale. Infatti, se ci si dovesse attenere alle semplici manifestazioni esteriori ed agli aspetti più superficiali, quei luoghi, da sempre culla di luminosi patrimoni spirituali e meta di pellegrinaggi da parte dei cercatori d’Occidente, sembrerebbero aver subito a loro volta il ritiro della Tradizione, col conseguente abbandono anche delle popolazioni orientali alle medesime anomalie moderne, congenite all’Occidente: dove tutto può essere comprato col denaro, inclusa la (presunta) saggezza e la (simulata e contraffatta) autorità spirituale. In un mondo in cui la successione temporale e l’espansione spaziale sono gli unici parametri quantitativi e i soli termini di paragone rimasti in uso.
Su questa deriva sembrava già avere le idee chiare Guido De Giorgio quando scriveva a Frithjof Schuon: «Perché, mi chiedo, si parla del Cristianesimo, di quel che è, di quel che era, di quello che dovrebbe essere, e poco, e male, e anche affatto dell’Islam, dell’India, della Cina ecc.? Il mondo si rovescia, crolla da ogni parte, sia in Occidente che in Oriente, è anche naturale che tutto ciò sia dovuto all’Occidente poiché occidens ha un duplice significato, che perisce e che fa perire… Perché ci si accanisce a mettere tutti i punti sulle i riguardo al Cristianesimo come se si ignorasse il corso naturale e provvidenziale delle cose, lo sviluppo e lo sbocco del dramma cosmico…?»
I rappresentanti dell’autorità religiosa, il cui compito è quello di reggere e condurre – sul piano generale, exoterico – una civiltà tradizionale, essendo tenuti perfino nel modo di abbigliarsi e di mostrarsi all’esterno ad adottare simboli e a compiere azioni conformi con i riti e in accordo con la qualità del proprio tempo liturgico, nonché a distinguere nella maniera più assoluta la propria persona dalla propria funzione, nel momento in cui sgarrano e mostrano di ignorare tali obblighi, mostrano chiaramente di non essere più all’altezza del loro compito. E se un tale fatto è facilmente riscontrabile presso alcune “recenti” autorità spirituali occidentali, esso non lo è da meno nel modo di porsi, per esempio, dell’attuale Dalai Lama, che non sembra comportarsi molto diversamente dei suoi colleghi occidentali!
Infatti, “se Atene piange, Sparta non ride”; mostrando l’Oriente, a questo punto, la medesima assenza di orientamento e guida da parte di coloro che dovrebbero essere i detentori delle conoscenze tradizionali, di cui già da tempo l’Occidente è rimasto privo. La chiusura di “certe porte” sembra ora interessare anche le più remote regioni orientali, le quali, per gli squilibri il caos e l’instabilità sociale da esse presentati, fanno comunque pensare ad una causa che non può essere solo d’ordine materiale e contingente, ma deve avere ben più profonde radici.
È come se nessuno riuscisse più a rimediare alla perdita della Via che conduce al sacro. Anche perché ciò che ricade al di fuori dello stato umano, rientrando nel dominio degli stati superiori e, quindi, del Centro supremo, è automaticamente “perduto di vista” da tutti coloro che rimangono impigliati nello psichismo inferiore e si dibattono nelle piccole vicende della vita ordinaria: lo stato sociale dell’uomo, la sua condizione terrena, non essendo più in relazione diretta con la dimensione trascendente. E coloro che potrebbero correggere una simile condizione – le autorità spirituali, le guide, i maestri – non hanno alcun interesse a farlo, visto l’infimo livello interiore in cui si ritrova la maggioranza degli individui, presso i quali non è possibile trovare un appiglio, una “presa”, per esercitare un’azione rettificatrice. Nessuno può costringere un altro a fare il bene e a vivere bene!
Se la presenza reale delle influenze spirituali mostra sempre una vicinanza al Principio e al Cielo; il prevalere delle influenze psichiche è invece segno di uno scadimento e di una dipendenza dal basso, dal divenire e dal caotico. Un simile passaggio sembra ora essersi verificato, in ragione delle leggi cicliche, anche presso le civiltà orientali. Basti pensare all’atteggiamento dei vertici degli Stati islamici – forse escluso l’Iran – riguardo a quanto avviene in Palestina, per rendersi conto di quali conseguenze, in primo luogo pratiche e sociali, comporta l’abbandono dei principi tradizionali, scambiati con semplici interessi economici e materiali, da parte di Popoli e Stati che dovrebbero pur condividere una comune appartenenza e fratellanza, se non spirituale, per lo meno etnica e geografica.
Ma parlare di una vera e propria perdita della tradizione per l’Oriente, per lo meno nella sua componente religiosa ed esterna (come del resto per lo stesso Occidente, malgrado le apparenze), non è del tutto esatto, poiché questo comporterebbe, di fatto, la caduta nella barbarie più assoluta, per via della (impossibile) scomparsa del Principio stesso, di cui ogni tradizione è espressione, e verso il quale ognuna è incaricata di condurre la parte d’umanità che cade sotto la sua “giurisdizione”.
Se alcuni centri spirituali secondari perdono il contatto col Centro supremo, questo non vuole affatto dire che tale Centro non conservi integro il suo patrimonio di Conoscenze, o che i cambiamenti del mondo esterno possano minimamente influenzarne la stabilità. Cataclismi, diluvi e tutte le follie umane non possono minimamente sfiorare il Paradiso terrestre, essendo il Centro supremo posto al di là di ogni cambiamento, e rappresentando il luogo di tutte le stabilità. Esso è diventato semplicemente inaccessibile, e ha smesso di esercitare la sua influenza diretta sul Mondo e sugli esseri umani, non più in grado di percepirne la presenza.
Per cui, mentre i nemici della Tradizione si mostrano oramai senza le maschere di un tempo, manifestando apertamente il loro operato ed esibendo esplicitamente le loro trame e macchinazioni, certi della loro (illusoria) vittoria finale, la Tradizione, invece, appare irrimediabilmente perduta solo per quella parte di umanità che non ha più accesso alla sua sede originaria, essendogli venuti a mancare gli strumenti e i mezzi per ottenere questo passaggio. E se i tempi attuali mostrano che questa parte dell’umanità “impedita” tende a coincidere con l’umanità tutta intera, compresa quella orientale, è pur sempre vero che “più buio di mezzanotte non si potrà mai fare”; e, come conclude la profezia del Re del Mondo riportata da Ferdinand Ossendowski nel suo Bestie, uomini e dei: «Infine i popoli di Agharti saliranno dalle caverne sotterranee alla superficie della terra».
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